Risonanze su iniziative nel territorio locale

Bari | 29 Gen 2020

«L’Amazzonia è a 3 km da casa» – Da una Chiesa di visita, a una Chiesa di presenza

Organizzato da Centro Missionario Diocesano e Missionari Comboniani di Bari, la sera dell’8 novembre si è tenuto un incontro con la teologa e biblista Maria Soave Buscemi sul tema “Il Sinodo e le sue risposte. Nuovi cammini per la Chiesa e per una ecologia integrale”.

Maria Soave Buscemi da vent’anni è missionaria laica fidei donum in Brasile dove opera come educatrice e coordina il CEBI (Centro Ecumenico di Studi Biblici) con una particolare attenzione agli studi di genere e di ermeneutiche femministe. Nell’incontro ha voluto fornirci un riscontro “a caldo” sull’appena concluso Sinodo dei Vescovi per l’Amazzonia, Sinodo tanto criticato, quanto invece urgente e necessario perché ha gettato uno sguardo sulla regione amazzonica.

Quest’ultima, come ci dice Maria Soave, non si deve identificare con il solo Brasile: sebbene gran parte sia costituita dal Brasile (il 67%), la restante parte tocca Perù, Colombia, Venezuela, Ecuador, Bolivia, Guyana, Suriname e Guyana francese: possiamo quindi solo immaginare la vasta diversità di popoli, culture, etnie che comprende. Ecco perché la necessità e, insieme, l’urgenza di un Sinodo per l’Amazzonia. Un Sinodo, cioè, pan-amazzonico, che volesse dar voce proprio a quei popoli che, diversamente, non avrebbero potuto esprimere il loro grido.

L’Instrumentum Laboris è stato il frutto della stesura del Documento preparatorio per il Sinodo nel giugno 2018 eduna sintesi interpretativa di circa 85.300 risposte a 30 quesiti raccolte fra circa 300 organi quali assemblee diocesane, vicarie, servizi pastorali nazionali raccolti nella regione amazzonica. Risposte orali, scritte rielaborate e reinterpretate in modo unitario dai presidenti delle 9 conferenze episcopali dei 9 Paesi dell’Amazzonia e dalla Rete ecclesiale pan-amazzonica. Il risultato è il frutto di un ascolto.

La voce dell’Amazzonia è stata ascoltata. Il Sinodo è stato un ascoltarsi. Il Sinodo, infatti, è un’assemblea dei vescovi a carattere consultivo di consenso, non deliberativo, cioè, è un’occasione «di ascolto, di dialogo di un’assemblea che sente lo stesso cammino». Un cammino che innanzitutto ha almeno due voci cui prestare attenzione: il territorio e la Chiesa locale.

Per territorio non si intende soltanto una fetta idrogeologica delimitata dai confini nazionali: territorio è tutto, sono le «relazioni di anima e di spirito» che appartengono e che fanno il tessuto del territorio,che vivono e si alimentano e crescono in esso e di esso. È il creato. Per questo l’ecologia deve essere una ecologia integrale, capace di considerare le relazioni che sono il territorio nella loro integralità e di essere al contempo impegno politico, nel senso più antico del termine, di cambiamento di pratiche di vita e di condivisione sociale per il bene comune, perché «ecologia senza impegno politico è giardinaggio!».

A tal proposito Maria Soave ci ha riportato l’esempio del cardinal Jean-Claude Höllerich, arcivescovo cattolico di Lussemburgo il quale durante una conferenza ha sottolineato come «l’Amazzonia è a 3 km da casa», espressione che dà il titolo a questo articolo, come simbolo della denuncia nei confronti di imprese multinazionali che possono sorgere o essere già presenti vicino le case di ognuno di noi e che continuamente sfruttano e depredano le terre amazzoniche sottraendole ai popoli per i quali rappresentano una fonte di vita, di relazioni, di spirito. Il bioetanolo, ricavato dalla canna da zucchero delle terre brasiliane, che tanto va di moda come combustibile alternativo, nasconde in realtà lo sfruttamento e la violenza ai danni delle terre amazzoniche che bruciano… sì, non solo letteralmente, e diventano aride e sterili, infertili, come una donna che non è più feconda, che non può più portare in grembo la vita. La Madre Terra stilizzata ulteriormente gettata nel Tevere. Questo gesto offensivo non è stato soltanto l’espressione della non accettazione della diversità, ma, ancora una volta, il gesto dello sfruttamento, della mentalità usa e getta che caratterizza il nostro modo di fare consumista.

Si rende allora necessaria – sottolinea Maria Soave – una domanda fondamentale: «qual è la necessaria necessità?». Iniziamo a domandarci da dove viene ciò che usiamo, se ne abbiamo veramente bisogno e, soprattutto, se il loro uso, piuttosto che essere “bio” – a servizio del bios, della vita – non sia invece “necro”, a servizio della morte.

La seconda voce di cui il Sinodo si è messo in ascolto è stata quella legata alla situazione della Chiesa locale amazzonica, in cui sacerdoti fanno fatica a raggiungere le zone periferiche perché le parrocchie ricoprono un territorio grande approssimativamente quanto la regione Lombardia e dove, perciò, può accadere che una messa non venga celebrata per 18 anni e laddove esse ci siano rischiano di diventare dei “sacramentifici” dove meccanicamente si amministrano i sacramenti in massa e dove invece manca una pastorale attenta alla dimensione spirituale, di ascolto e di cammino di fede condiviso. Il Sinodo deve riconoscere il grande contributo che uomini e donne, laici e laiche, sposati e non, hanno dato e continuano a dare alla Chiesa amazzonica, laddove c’è una mancanza oggettiva di presbiteri. Per questo la proposta dell’ordinazione presbiterale dei diaconi permanenti e dell’apertura del diaconato alle donne: animatori e animatrici della liturgia che con fervore sentono e trasmettono l’annuncio della Parola, operatori e operatrici di pace che hanno fornito e continuano a fornire un grande supporto alla pastorale locale.

Da una Chiesa di visita a una Chiesa di presenza. La presenza della Chiesa si fa carne negli uomini e nelle donne che la rendono viva e in questo senso non è più solamente “di visita”, non si limita, cioè, semplicemente ad adempiere ad un dovere sacramentale, ma si fa concretamente presente nell’accompagnamento spirituale, nell’ascolto delle voci dell’Amazzonia.

Non possono esserci nuovi cammini per la Chiesa senza ecologia integrale e senza il rinnovamento della Chiesa locale. Maria Soave ci ha indicato, a riguardo, una direzione per la teologia: anch’essa deve operare un passo ulteriore che la porta a diventare teologia “india” e non più indigenista. La teologia, cioè, non deve essere “su”, non deve parlare “di”, ma deve essere di chi la fa. In altre parole, una teologia che non sia più «voce di chi non ha voce», ma che corrisponda alla voce di chi fino a questo momento non ha avuto voce.

Venerdì non abbiamo soltanto ricevuto risposte. Il Sinodo non è stato soltanto una risposta: è una chiamata alla conversione integrale, un’apertura di nuovi cammini per la casa comune.

«[…] una conversión personal y comunitaria que nos compromete a relacionarnos armónicamente con la obra creadora de Dios, que es la “casa común”; una conversión que promueva la creación de estructuras en armonía con el cuidado de la creación; una conversión pastoral basada en la sinodalidad, que reconozca la interacción de todo lo creado. Conversión que nos lleve a ser una Iglesia en salida que entre en el corazón de todos los pueblos amazónicos.» (dal Documento finale del Sinodo dei Vescovi).

[una conversione personale e comunitaria che ci impegni a relazionarci armonicamente con l’opera creatrice di Dio, che è la “casa comune”; una conversione che promuova la creazione di strutture in armonia con la cura della creazione; una conversione pastorale basata sulla sobrietà, che riconosca l’interazione di tutto il creato. Conversione che ci porti ad essere una Chiesa in uscita che entri nel cuore di tutti i popoli amazzonici.]

Francesca Pepe

Visita al CARA di Bari-Palese

Il pomeriggio del 18 dicembre con l’Ufficio Migrantes diocesano (nel quale vivo la mia ministerialità di LMC) e con mons. Francesco Cacucci (arcivescovo di Bari-Bitonto) ho visitato il Centro Accoglienza Richiedenti Asilo di Bari-Palese.

Un momento voluto, in occasione del vicino Santo Natale, per andare a ”vedere da vicino”, sul posto, lo stato di fatto e “umano” del C.A.R.A e degli ospiti.

Il responsabile della cooperativa che ha in gestione il Centro ci ha illustrato numeri, tempi, risorse e difficoltà delle permanenze e della convivenza. Attualmente il C.A.R.A. ospita 738 persone di cui 668 uomini, 51 donne, 19 minori, provenienti prevalentemente da Pakistan, Nigeria, Senegal, Sudan, Costa d’Avorio, Bangladesh, Gambia, Guinea, Mali.

Un momento, soprattutto, di scambio: non soltanto di auguri ma di condivisione di preghiere, di tradizioni, di cuori, finalizzato allo semplice stare insieme, alla prossimità. Ma in questo sono stati gli stessi ospiti i veri testimoni della gioia dell’incontro, inondandoci di tutto il loro calore ed entusiasmo, attraverso timidi o più sfacciati sorrisi e abbracci, le loro voci intonanti canti natalizi tipici nelle loro lingue, nonché di quanto da loro stessi realizzato manualmente.

Tutto questo nonostante la loro condizione precaria, sotto ogni punto di vista, che trova l’emblema immediato e più evidente nei container che li vede alloggiare in attesa del sperato “futuro migliore”.

Ed è forse questa Speranza, Fede, ad alimentare la loro forza, i loro cammini e c’è solo da restare in silenzio, ammirare e prendere esempio dal loro saper cogliere il buono che c’è anche nelle situazioni avverse che, in fondo, è già tutto il necessario.

Emilia Cassano

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