Incontro 28 febbraio 2021

Bari | 21 Mar 2021

Domenica 28 febbraio sulla piattaforma Jitsi si è tenuto il nostro incontro di gruppo, dedicato all’ascolto della testimonianza di Emma Chiolini, laica missionaria comboniana del gruppo di Bologna in missione in Brasile. Il suo racconto è stato accompagnato dalla proiezione di fotografie delle sue esperienze missionarie.

L’incontro si è aperto con la preghiera in portoghese della “Campagna di Fraternità Ecumenica 2021”, iniziativa che si tiene in media ogni cinque anni, promossa dalle varie confessioni cristiane brasiliane. Emma ha evidenziato che «è importante imparare a dialogare nelle diversità e creare all’interno della Chiesa occasioni che permettano una comunione, un incontro, una capacità di vivere le diversità».

Per Emma è basilare che il Vangelo diventi «concretezza nella propria vita», ed è da questa convinzione che scaturisce la scelta di vivere le sue prime esperienze in missione nel corso degli anni universitari: in alcune di queste avviene il suo incontro con la Famiglia comboniana, di cui apprezza il carisma e da cui ne deriva il suo avvicinamento al gruppo LMC di Bologna, in quanto «camminando senti sempre più il desiderio di approfondire le cose».

Giunge quindi alla scelta di partire per un periodo di missione più prolungato: «Ho lasciato il lavoro, la casa, la famiglia per fare ciò che veramente sentivo dentro di me. La scelta di partire non è mai a cuor leggero, ma è frutto di discernimento, formazione, ecc. Quando batte forte dentro di te una scelta, la devi ascoltare e accettarne le conseguenze. Per me era importante vivere la missione a 360 gradi all’estero, sperimentare un cambio culturale e un’esperienza forte».

È l’anno 2013: la destinazione propostale dalla Famiglia comboniana è il Brasile, precisamente lo Stato del Minas Gerais, vivendo all’interno della comunità LMC del bairro di Ipê Amarelo nella città di Nova Contagem, diocesi di Belo Horizonte, per operare a fianco dei Missionari Comboniani nelle attività portate avanti dalla parrocchia: la pastorale carceraria, la pastorale dell’infanzia, il gruppo di formazione all’artigianato di donne e adolescenti, il gruppo di mutuo aiuto per le famiglie con persone dipendenti da alcool e droga. Si reca anche in alcuni villaggi indigeni e partecipa attivamente alle manifestazioni religiose e civili per la giustizia sociale.

«Nella pastorale carceraria impari a non giudicare chi hai di fronte, anche dinanzi ai crimini commessi: è stata un’esperienza che mi ha evangelizzato».

«È stato bello vivere la dimensione della Famiglia comboniana, perché ha rafforzato la mia identità spirituale».

«Quando parti, ti scontri con un tuo schema mentale che pensavi di non avere. Quando sei all’estero c’è il rischio di attaccarsi alla propria identità: è quando ti scontri con la diversità che capisci se sei capace o meno di dialogare. All’inizio di un’esperienza missionaria ci sono difficoltà (lingua, cultura, ecc.), ma vivere la missione non è chiudersi dietro la porta della propria casa, ma immergersi nella realtà 24 ore su 24, camminando con spirito di scoperta, lasciandoti scoprire dagli altri. In questo, ho sempre cercato di sperimentare la bellezza della scelta che ho fatto e affidarmi nella preghiera a Comboni. La missione ti cambia se ti lasci cambiare».

«Abbiamo bisogno di testimonianza, è da questa che si prende l’ispirazione, il coraggio di portare avanti le cose, di continuare a camminare. L’evangelizzazione non è all’interno delle mura di un edificio religioso, ma è fuori».

«Amo la missione perché è vita, testimonianza, incontro, impegno in quello che pensi, in quello che credi, in quello che fai. L’esperienza in missione mi ha fatto vivere il Vangelo attraverso le cose che stavo facendo».

Nel 2016 Emma rientra in Italia e continua il suo cammino con il gruppo LMC di Bologna, abbracciando la ministerialità dell’animazione missionaria sul territorio collaborando con il Centro Missionario Diocesano, all’interno del quale matura la scelta di una nuova partenza. È il 2019 e la destinazione è la Comunità Trindade – diocesi di San Salvador di Bahia –, comunità di recupero di persone che hanno vissuto l’esperienza della vita per strada, nella quale Emma affianca il gruppo di formazione all’artigianato.

«In questa esperienza ho scelto di dormire per terra per essere il più prossima possibile a chi la comunità vuole aiutare, senza privilegi e con spirito di eguaglianza. Ho sperimentato ancora una volta l’importanza delle piccole cose che possono sembrare scontate nella vita, come un attaccapanni che mi è stato donato, e che mi è tornato molto utile. Nella vita è molto importante apprezzare quel poco che si ha».

Con l’inizio della pandemia, precauzionalmente la Comunità Trindade sospende l’accoglienza di nuove persone, e alla fine del 2020 Emma si sposta nel bairro di Pau Miúdo, sempre a Salvador, per prestare attività di orientamento in favore di donne vittime di dipendenze e di sostegno socio-formativo in favore dei bambini.

«Ho l’immagine di un Dio che è pellegrino, che cammina con me, che si rivela in ciò che faccio e attraverso le relazioni che ho intessuto. Nell’incontro con l’altro mi formo come persona. Missione è incontrare Dio in ciò che fai. Non puoi chiudere Dio in un rituale. Dio è molto di più di quello che la gente pensa».

«Mi sono sentita convertita ed evangelizzata dai poveri, che mi hanno aiutato nel mio cammino di fede. Incontro Dio nei poveri in quanto guardano la vita in un modo segnato dalla sofferenza: è lì che ti domandi il significato della vita».

Al termine del suo racconto, è iniziato il dialogo tra i/le partecipanti all’incontro ed Emma di cui riportiamo domande e risposte.

  • Hai respirato l’aria della teologia della liberazione? (Francesca – Ostuni)

«La teologia della liberazione si è un po’ persa, ma non è morta: sicuramente non c’è più l’entusiasmo che accompagna le cose nuove, ma è fondamentale non vivere rimpiangendo il passato, ma costruire il presente. Ora viene vissuta soprattutto a livello di comunità ecclesiali di base e vita in bairro».

  • In cosa è consistito il tuo impegno nella pastorale carceraria? (Isabella)

«La pastorale carceraria viene vissuta a piccoli gruppi, mai da soli. È caratteristica dell’America Latina proprio la dimensione del camminare e operare in gruppo, all’interno del quale il singolo si inserisce e si impegna nel portare avanti le cose. L’impegno è consistito in colloqui, momenti di formazione e di preghiera. Non si chiede mai al detenuto il motivo per cui è in carcere, in modo da non avere preconcetti: devi accettare chiunque, in quanto stai parlando con una persona prima che con un detenuto. Lo accogli cosi com’è, allo stesso modo di Gesù, che non hai mai condannato le persone a cui si è fatto prossimo. Nella pastorale carceraria si accoglie, si ascolta, ed eventualmente si agisce nel campo dei diritti dei detenuti».

  • Come mai hai scelto la missione all’estero? Quali impegni per i diritti umani hai vissuto? (Emilia)

«Ciascuno deve rispettare sé stesso: quello che si è, che si desidera, che può fare, che sente, i limiti, le capacità. È importante essere felici dentro. Non puoi essere missionario e poi non “sentire” quello che fai. Quando sei felice, quando sei coerente, riesci ad essere testimone e sei sempre più predisposto ad impegnarti. Devi incontrarti con te stesso, con ciò che batte nel tuo cuore, essere veritiero.

Ci sono situazioni nelle quali non puoi parlare perché rischi la vita: occorre camminare lentamente, pensare e agire in modo da essere una testimonianza diversa che susciti una coscienza critica, una voce alternativa a quella della massa».

  • Perché la scelta della realtà comboniana? (Fabrizio)

«Comboni è stato un grande innovatore, un uomo di coraggio e passione. Quando ami quello che fai, sei di ispirazione per gli altri. Del carisma comboniano mi è piaciuta la dimensione dell’azione».

  • Dalla tua testimonianza capisco che la missione non deve essere intesa come un mero fare, ma piuttosto vivere una prossimità con gli ultimi, un’esperienza di umanità condivisa, tirandosi fuori da un sistema che insegue la gloria. (Francesca – Bari)

«Quando ti apri alla diversità, se lo vuoi, cresci di più, perché conosci i tuoi limiti, le tue fragilità, potenzialità. La missione è fatica, impegno, servizio, crescita umana e spirituale che in certe situazioni può farti stare male e piangere, ma sempre in un’ottica di crescita. In missione ci sono anche dolore e solitudine, ma tutto è una grazia per crescere.

È bello quando impari l’umiltà di stare nelle cose, nelle realtà, per capirle, per conoscerle, senza avere a priori la presunzione di cambiarle, condividendo quello che sei con gli altri. Quando si va in un’altra terra, è importante avere l’umiltà di togliersi le scarpe, e camminare scalzi: questo è un concetto in cui credo molto, tanto da denominare il mio blog proprio A piedi nudi».

A conclusione del nostro incontro Emma ci ha salutati esortandoci a «restare uniti nel cammino, ad essere pensiero positivo per noi stessi e per gli altri, ad essere noi i primi costruttori di bene in questo mondo in cui c’è tanto male».

Hanno preso parte a questo incontro: Carlo (Foggia), Emilia (Licata – AG), Fabrizio (Bari), Francesca (Bari), Francesca (Ostuni), Francesco (Troia – FG), Isabella (Bari).

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