Incontro 16 marzo 2014 – Preghiera

Verona | 18 Mar 2014

Canto iniziale

Salmo 51: Crea in me, o Dio, un cuore mondo (Turoldo)

Pietà di me, o Dio, pietà
secondo la tua infinita tenerezza,
per quanto le viscere hai ricolme d’amore
cancella le mie infedeltà,

lavami e raschia via la mia colpa,
fammi mondo dal mio peccato.

Le mie trasgressioni io le riconosco,
il mio peccato mi sta sempre davanti.

Contro te, contro te solo ho peccato,
quanto è male ai tuoi occhi ho commesso:
tu, sempre giusto nelle tue sentenze,
lascia parlare la tua pietà.

Ecco, nella colpa sono stato generato,
peccatore mi concepì mia madre;

ecco, è la sincerità del cuore che tu ami,
per cui fino all’intimo sono da te
ammaestrato.

Purificami con l’issopo e sarò mondato,
lavami e sarò più bianco della neve.

Ridammi ancora gioia e letizia,
esultino le ossa che hai frantumate.

Distogli il tuo volto dal mio delitto,
dalle radici estirpa ogni colpa.

Crea in me, o Dio, un cuore puro,
rinnova in me uno spirito forte.

Non cacciarmi dalla tua presenza,
non privarmi del tuo santo spirito.

Ridammi la gioia di essere salvo,
mi regga ancora uno spirito grande.

Insegnerò le tue vie ai ribelli
e i peccatori a te torneranno.

Liberami dalla sentenza di morte,
Dio, o Dio mio salvatore,
e griderà la mia lingua
alla tua giustizia.

Signore, apri tu le mie labbra,
la mia bocca acclamerà la tua lode.

poiché le vittime tu non gradisci,
né vuoi in dono alcun sacrificio:

uno spirito pentito
è il sacrificio perfetto,
un cuore contrito e umiliato, o Dio,
questa l’offerta che tu non rifiuti.

Nel tuo amore fa’ grazia per Sion,
le mura rialza di Gerusalemme.

Le giuste offerte allor gradirai,
l’olocausto e la totale oblazione:
allora sante saranno le vittime
sacrificate sul tuo altare.

Vangelo (Marco 14,3-9)

Ora egli, trovandosi a Betania in casa di Simone il lebbroso, mentre era a tavola, entrò una donna con un vaso di alabastro di olio profumato di autentico nardo, di grande valore; or ella, rotto il vaso di alabastro, glielo versò sul capo. Alcuni si sdegnarono fra di loro e dissero: «Perché tutto questo spreco di olio? Poiché si poteva vendere quest’olio per più di trecento denari e darli ai poveri». Ed erano indignati contro di lei. Ma Gesù disse: «Lasciatela fare; perché le date fastidio? Ella ha compiuto una buona opera verso di me. Perché i poveri li avrete sempre con voi; e quando volete, potete far loro del bene; ma non avrete sempre me. Ella ha fatto ciò che poteva; ha unto in anticipo il mio corpo per la sepoltura. Ma in verità vi dico che in tutto il mondo, ovunque sarà predicato questo evangelo, si racconterà pure in suo ricordo ciò che costei ha fatto».

Gesto: Anfora che raccoglie il nardo

Quel profumo Gesù lo porterà con sé fin dentro i meandri più bui della sua Passione. Forse Gesù avrà sentito ancora su di sé le mani gentili e “sacerdotali” di quella donna che, con larghissimo spreco d’amore, lo hanno “consacrato” messia, unto, cioè profumato, sacerdote, re e profeta dell’amore che si dona senza calcolo e con sovrabbondanza! Forse il gesto sproporzionato di quella donna e quel profumo intenso tra i capelli lo aiuteranno a confermare nei momenti più difficili la scelta di donarsi con spreco e di profumare la sua morte di Vita!
E noi che profumo siamo? Non si legge più nei nostri occhi, nel tono di voce, che siamo i “profumati”. “Cristiani” vuol dire unti. Che senso ha parlare di risurrezione, se non emaniamo questo stesso profumo di Vita? Se anche la nostra vita non sboccia, non si rinnova, non segue la legge della natura e delle stagioni, degli inverni e delle primavere di risurrezione?

(Don Gigi Verdi, Fraternità di Romena)

Racconto

Tanti anni fa, c’era un capriolo che sentiva continuamente nelle narici un fragrante profumo di muschio. Saliva le verdi pendici dei monti e sentiva quel profumo stupendo, penetrante, dolcissimo. Sfrecciava nella foresta, e quel profumo era nell’aria, tutt’intorno a lui. Il capriolo non riusciva a capire da dove provenisse quel profumo che tanto lo turbava. Era come il richiamo di un flauto a cui non si può resistere. Perciò il capriolo prese a correre di bosco in bosco alla ricerca della fonte di quello straordinario e conturbante profumo.
Quella ricerca divenne la sua ossessione. Il povero animale non badava più né a mangiare, né a bere, né a dormire, né a nient’altro. Esso non sapeva donde venisse il richiamo del profumo, ma si sentiva costretto a inseguirlo attraverso burroni, foreste e colline, finché affamato, esausto, stanco morto, andò avanti a casaccio, scivolò da una roccia e cadde ferendosi mortalmente.
Le sue ferite erano dolorose e profonde. Il capriolo si leccò il petto sanguinante e, in quel momento, scoprì la cosa più incredibile. Il profumo, quel profumo che lo aveva sconvolto, che gli regalava così tanta serenità e felicità, era proprio lì, attaccato al suo corpo, nella speciale «sacca» porta muschio che hanno tutti i caprioli della sua specie…

(Leggenda Indù)

Canto finale

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