Convegno dei laici comboniani – Borgo Tossignano, 21-23 luglio 2000


Intervento di apertura di Bruno Begnoni

Comboni nel 1881 ha scritto questa lettera al padre: “A dirvi proprio la verità sincera, dopo la partenza di Domenico, mi sono scelto per cameriere quel Giuseppe toscano, grande, etc., che avete veduto a Verona, e che ho ricevuto da Piacenza, ma egli è toscano. Questo bravo uomo vale e cento volte più che Domenico, perché oltre al servirmi dieci volte meglio, e con maggiore capacità di Domenico, non mi secca colle chiacchiere e sciocchezze di Domenico, ma lavora, agisce, fa, e tace, ed è il tipo della gentilezza, ha amore e rispetto etc.”.

Perché ho fatto questa citazione? Prima di tutto non dobbiamo mai sentirci soli, perché Dio è sempre con noi e, cosa importante, Dio ci affida il suo Regno e, se ci crediamo, ci guida sempre verso il meglio. Nella lettera di Comboni troviamo sintetizzato tutto il nostro impegno come laici. Il laico è capace, lavora, agisce, fa, tace, è gentile; il laico è pieno d’amore ed è rispettoso per servire Dio nel Regno.

Il convegno che vivremo in questi giorni deve aiutarci a scoprire e ad aprirci sempre più verso questo Regno, verso quel cammino come laici comboniani. Ci fregiamo di un segno importante: la croce di Cristo che è segno di amore. Quell’amore che Dio, attraverso il Figlio, ha dato a tutti noi e che noi riceviamo in modo più forte perché, oltre ad essere fratelli di Cristo, diventiamo fratelli servitori particolari del beato Daniele Comboni. È importante allora il lavoro che stiamo tentando di fare: unire tutti i laici comboniani per servire meglio la missione.

Come commissione ci siamo riuniti tre volte nelle varie zone d’Italia e gli argomenti trattati sono stati sempre inerenti all’organizzazione dei laici comboniani. Nell’ultimo verbale sono state prese alcune importanti decisioni: allargare la commissione con un altro membro della zona sud-ovest d’Italia; il segretario sarà scelto dalla commissione eletta, esterno dal Consiglio, e così pure il cassiere, quando avremo qualche spicciolo da amministrare; la Commissione è bene che rimanga in carica due anni e che il presidente sia eletto per tre anni, perché è necessario che ci sia una continuità.

In cartella trovate un dépliant con l’identikit dei laici comboniani: è una bozza che va discussa insieme.

Quest’anno, come presidente, sono stato impegnato nelle visite alle varie comunità comboniane, per parlare dei profeti dei laici comboniani. Sono stato agli incontri zonali per stimolare i Comboniani a prendere sempre più in considerazione la presenza laicale nella loro attività e nella vita di comunità; ho chiesto di aiutare i laici a trovare sempre più unità nel loro lavoro e coscienza di appartenere al carisma comboniano. Sono stato coinvolto nel Giubileo degli oppressi e i Laici Comboniani compaiono sul dépliant tra gli organizzatori del convegno. Stiamo anche portando avanti la gestione della casa di Fai della Paganella, nella prospettiva futura che ci venga affidata dai Missionari Comboniani la gestione di questa casa vacanze per lunghi periodi (3 o 5 anni). Una casa a nostra disposizione ci potrebbe essere utile, oltre che per le vacanze, per organizzare convegni, corsi di formazione, ecc.

Dall’inizio dell’anno abbiamo un’intera pagina su Azione Missionaria, dove possiamo pubblicare le nostre iniziative ed i nostri programmi.

Sono stato anche impegnato in un lavoro di meditazione e confronto con altri gruppi, per scoprire cammini che portino ad un’unità sostanziale dei laici comboniani.

Siamo stati presenti al corso su Giustizia e Pace che si è svolto a Pesaro ed è stato importante perché per la prima volta siamo stati invitati come Laici Comboniani.

Uno dei nostri impegni è quello di aprirci a qualche partenza breve per la missione e sostenere anche le varie partenze, perché come laici comboniani il nostro impegno fondamentale è la missione.

GIUSTIZIA E PACE

(Lettura della novella “La notte di Natale” di Dino Buzzati)

La conversione (i gradini di padre Teresino Serra) passa più attraverso la testimonianza-condivisione che non con il compromesso-condivisione. Tutto questo nell’ottica del nostro tempo, bersagliato da slogans, immagini, falsi profeti, ideologie, cadute, ecc. Oggi parlare di Giustizia e di Pace non ha senso se non scendiamo nel concreto (sono tanti che ne parlano e pochi si compromettono), un concreto anche molto piccolo: una micro-giustizia per una macro-pace. Il cristianesimo rischia di non essere più il “faro” della giustizia e della difesa dei più poveri e deboli (concorrenza di altri, brutti esempi anche all’interno della stessa Chiesa, ecc.). Leggendo il nostro tempo mi viene da dare ragione al vecchio Karl Marx, non al marxismo. Siamo condizionati dalla proprietà come singoli, come cittadini, come popoli, come primo mondo.

Dio è diventato una proprietà, ma Dio non è solo mio, della mia parrocchia, diocesi e via a salire… (entriamo nell’ottica del macro-ecumenismo!).

La Natura, creatura di Dio, non è solo mia (del primo mondo occidentale, colonialista e globalizzatore), è dell’Umanità, che intera pagherà le conseguenze della rovina della Terra (il 25% dell’umanità commette il 75% dei crimini contro la Natura).

Siamo nel mondo delle inondazioni, pensiamo a Manila con la sua frana di immondizie su una baraccopoli. L’altro anno dicevamo che bisognava cominciare a parlare planetariamente e non con un’ottica limitante. Padre Ubiali pensava a Dio e alla vita in Lui come un essere dentro di lui; noi tutti ci siamo in questo universo: “Tra poco respirerò l’Universo”, diceva prima di morire. Noi tutti come lui lo stiamo già respirando e rischiamo di non accorgercene e di avvelenarne l’aria.

Un millennio senza esclusi implica per noi entrare in questa ottica, comprometterci e cambiare stile di vita. Si comincia con poco e ci si lancia. Fare sacrifici (ormai siamo abituati troppo bene a spese di altri, che sono abituati troppo male) potrà essere e sarà duro, ma è certamente solo passando per questa strada che riusciremo ad essere in pace con noi stessi, con i nostri fratelli, con la Natura e con le cose.

Povertà = Libertà. Solo così ci sentiremo compartecipi della Misericordia: il grido dei poveri sarà la nostra liberazione solo se noi decidiamo di ascoltare questo grido e insieme liberarci. Essi gridano e portano la croce anche per noi. Dio Padre-Madre è morto e risorto per tutti i suoi figli: ricchi e poveri, peccatori e santi (forse è proprio questo che ci dà fastidio: sempre la proprietà, anche della Misericordia di Dio). Io sono buono e va bene, ma con i cattivi come la mettiamo? Ma come, sono pari a me? Ma Dio è Madre di misericordia, e può una madre dimenticarsi del figlio peccatore o no?

Appartenere come laici alla famiglia comboniana ci deve fare riflettere sulla proprietà, anche in questo: io non sono di questo o quello, perché ho fatto questo o quello, io sono un comboniano per il servizio agli altri (preferenza per i più poveri ed emarginati), per la Missione. “Nigrizia o morte”, diceva il Comboni. Faccio parte di una tribù india e non ci sono ruoli di parenti stretti o meno. Nella tribù la casa comune è la maloca (Chiesa) e nella maloca ci sono tante madri, padri, zii, nonne, figli in funzione della condivisione per la sopravvivenza comune: la tua morte è la mia, la tua vita è la mia. Qui ha senso usare solo il pronome “nostro”, come nostro è l’Unico Padre. Nella misura in cui io limito Dio, facendolo mio, lo perdo (racconto di Dino Buzzati).

Intervento di p. Teresino Serra

Il tema scelto per questo momento di spiritualità è il “Cenacolo”, così come è visto da Daniele Comboni. Presentiamo alcune idee flash sperando di arrivare al centro del tema.

Perché abbiamo scelto il Cenacolo? Nel Capitolo del 1997 per sottolineare la missionarietà dei laici comboniani si è partiti proprio dall’idea comboniana del cenacolo di apostoli. Vorrei iniziare citando brevemente alcuni punti.

“I laici comboniani partecipano intensamente all’attività missionaria della Chiesa, secondo il carisma di Daniele Comboni”. Il Capitolo del 1991 ha descritto le motivazioni per un impegno più diretto nel progetto comboniano. Nel frattempo si sono sviluppati i vari gruppi, che hanno arricchito il carisma del fondatore. L’impegno dei laici è motivato dalla fede in Cristo e dal senso di appartenenza alla Chiesa. Fondamentale diventa la testimonianza di vita cristiana laicale per trasformare dal di dentro, con i valori del Regno, le realtà secolari.

Poi dice: “I laici si rendono disponibili al servizio missionario nel mondo secondo il carisma di Comboni e sono disposti a patire” e qui specifica il “patire”: quelli che partono e quelli che partono restando, cioè missionario è chi va, missionario è chi resta e aiuta chi va.

Ultimo punto: in molte Province a fianco dei laici partenti esistono molti gruppi di laici di sostegno al progetto missionario comboniano e all’animazione missionaria a livello locale. Queste idee sono venute fuori dall’idea del Cenacolo.

Adesso andiamo nel Cenacolo. Perché vogliamo parlare del Cenacolo? Perché esaminando bene tutta questa spiritualità di Comboni vengono fuori varie cose.

Intanto leggiamo insieme la lettera di Comboni:

Questo Istituto perciò diventa come un piccolo Cenacolo di Apostoli per l’Africa, un punto luminoso che manda fino al centro della Nigrizia altrettanti raggi quanto sono i zelanti e virtuosi Missionari che escono dal suo seno: e questi raggi che splendono insieme e riscaldano, necessariamente rivelano la natura del Centro da cui emanano (Scritti, 2648).

Continuando questa lettera Comboni parla di coloro che sono membri del Cenacolo. Adesso vi chiedo: quali sono le parole più importanti di questa frase? Mi sembra che sia Cenacolo. Attenzione che questo Cenacolo non esisteva. Quando ha scritto queste parole si era nel 1871, Comboni aveva appena fondato l’Istituto, quindi non c’era ancora niente, c’era un Cenacolo che stava nascendo.

Dovremmo anche dire cos’è questo Cenacolo. Non immaginatevi un posto. Direi che il Cenacolo è una vocazione, persone (apostoli) chiamate che si formano e stanno insieme perché hanno un interesse comune che è la missione. Allora capiamo anche le altre parole: riscaldano insieme, splendono insieme e insieme rivelano. È cioè un vivere insieme la donazione alla missione.

Ci sono i sacerdoti, ci sono i laici. Nell’idea di Comboni tutto il mondo deve interessarsi della missione e tutto il mondo deve lavorare per la missione. In Comboni non c’è una preferenza tra presbiteri, laici e fratelli… Comboni dice: abbiamo lo stesso amore che è la missione, partendo insieme da un punto luminoso che è Cristo, missionario del Padre.

L’idea del Cenacolo viene fuori dal Vangelo (Gv 13-17). Cosa succede in quel cenacolo di Gesù? Io direi che Gesù nel Cenacolo celebra la missionarietà, partendo da un punto importante: essere per produrre frutto. Siate, per poi fare. Il punto principale per Gesù non è andate e fate, ma prima dovete essere. E Gesù compie un gesto, prima celebra il servizio reciproco, si toglie la tunica, si cinge un asciugamano e lava i piedi. Il gesto vuol significare: siate sensibili e attenti gli uni verso gli altri. Togliersi la veste vuol dire togliersi la veste del privilegio, la veste dell’essere il primo, il maestro; la veste del tuo personalismo, egoismo, delle tue idee di conservazione, della tua filosofia, che si allontana dalla filosofia del Cenacolo. È mettersi a lavare i piedi, sporcarsi le mani. Pietro dice no, e Gesù gli dice che non ha capito niente, che non può essere suo amico e lo invita ad entrare nella filosofia dell’attenzione ai piccoli, del lavare i piedi. È una botta a chi si vuole alzare e seguire un altro cammino. Infatti durante la Cena un altro si alza, Giuda, che se ne va per conto suo. Dopo aver lavato i piedi Gesù celebra il mandato missionario con le tre parole:

1) Rimanete in me

2) Amatevi

3) Il frutto rimanga

1) “Rimanete in me” vuol dire rimanete nella mia amicizia, amate ciò che io amo, amate i miei preferiti che sono i poveri, gli ultimi.

2) “Amatevi gli uni gli altri” vuol dire rimanete in questa amicizia che io vi ho insegnato, apprezzate il regalo che io vi faccio; vi ho regalato un Cenacolo, adesso il Cenacolo siete voi, allora ciascuno di voi deve apprezzare l’altro. “Amatevi gli uni gli altri” vuol dire INSIEME amate la mia amicizia e questa amicizia vi manterrà nel mio amore.

Dice Comboni:

Se con viva fede contempleranno e gusteranno un mistero di tanto amore, saran beati di offrirsi a perder tutto, e morire per Lui, e con Lui. Il distacco, che ha già fatto dalla famiglia e dal mondo, non è che il primo passo: essi cercheranno di andar sempre più consumando il loro olocausto, rinunciando ad ogni affetto terreno, abituandosi a non far caso delle loro comodità, dei loro piccoli interessi, della loro opinione, e d’ogni cosa che li riguardi; perocché anche un tenue filo, che rimanga, può impedire un’anima generosa di elevarsi a Dio. Sarà perciò continua la pratica dell’abnegazione di se stessi, anche nelle piccole cose, e rinnoveranno spesso l’offerta intera di sé medesimi a Dio, della sanità, ed anche della vita. Per eccitare lo spirito a queste sante disposizioni, in certe circostanze di maggior fervore faranno tutti insieme una formale ed esplicita dedica a Dio di se stessi, esibendosi ciascuno con umiltà e confidenza nella sua grazia anche al martirio (Scritti, 2722).

I tre verbi: contemplare, gustare e sperimentare, sono tre verbi missionari molto importanti.

Contemplare non vuol dire meditare; non vuol dire rimanere incantati davanti al SS. Sacramento, vuol dire IDENTIFICARSI. Se ti piace il tramonto, la sera stai lì a vedere il tramonto. Identificarsi con Cristo vuol dire identificarsi con Cristo che dà tutto “per”, cioè mi piace, provo gusto e sento gioia in questo Cristo che si dona e che mi chiede di donarmi.

Gustare è constatare che questo Cristo nell’atto di dare tutto mi piace. E allora dico: posso io fare quello che ha fatto lui? Questo è gustare. Questo sacrificio mi entusiasma e mi fa dire che devo imitare questo Cristo, e dare tutto. Quindi essere missionario vuol dire entrare in questo sacrificio di Cristo. È molto facile dire di essere missionari senza vocazione, e conventi e seminari sono pieni di gente senza vocazione e laici senza vocazione ce ne sono. È gente che viene a perdere tempo e basta. Voglio dire: se non hai trovato moglie o marito, non cercare rifugio in un istituto religioso. Se non hai niente da fare nella vita, non entrare in seminario, sarai la spazzatura della Chiesa. Gustare significa: mi identifico, mi piace, sono convinto e mi dono.

Poi Comboni parla di SPERIMENTARE, che non vuol dire fare un’esperienza o un esperimento, vuol dire regalare tutta la tua esistenza per un’esperienza di Cristo, con Cristo, in Cristo.

Allora questi tre verbi: contemplare, gustare, sperimentare ti dicono che devi passare dal POTREI al POSSO, dal DOVREI al DEVO, dal FORSE al DONARSI, dal FORSE alla SICUREZZA. Comboni non vuole gente indecisa. Comboni parla della sicurezza della vocazione; se c’è ancora un tentennamento nella tua vocazione missionaria come laico comboniano, ti dice: vai avanti, contempla Cristo, gusta, sperimenta, ama questa vocazione che ti è donata da Dio.

Comboni dice che bisogna dare forza a questo Cenacolo. Per dare forza bisogna avere una spiritualità forte che mi fa arrivare a Dio attraverso la terra dei poveri. Una spiritualità che dall’essere ti porta al fare. Quali sono le forze, secondo Comboni, che mantengono questa famiglia unita?

PRIMA FORZA È LA PREGHIERA. Comboni parla di una preghiera speciale, parla della preghiera del cuore e della preghiera missionaria, parla della preghiera che trasforma il cuore e, trasformando il cuore, trasforma anche la tua personalità, sia quella psicofisica sia quella spirituale. Una preghiera che non ti cambia è una perdita di tempo. La preghiera è confidenza in Dio, mi metto nelle sue mani e faccia di me ciò che vuole. E continua dicendo: “Confidenza in Dio! che è sì rara anche nelle anime pie, perché si conosce e si ama poco Dio e Gesù Cristo. Se si conoscesse e si amasse davvero Gesù Cristo, si farebbero trasportare i monti: e la poca confidenza in Dio è comune a quasi tutte (così mi dice una lunga esperienza, e così pensava l’E.mo Barnabò) le anime buone e anche di molta orazione, le quali hanno molta confidenza in Dio sulle labbra e a parole, ma poca o nessuna quando Dio le mette alla Prova, e fa lor mancare talvolta ciò che vogliono”.

È una frase forte, ci dice che c’è gente che prega molto però non prega, non ha la preghiera. Ci parla di una preghiera che deve trasformarti, non una preghiera formula, ma una preghiera che ti porta a lasciare che Dio abiti il tuo cuore e la tua esistenza. Questo ci mette in crisi perché a volte preghiamo tanto e non cambiamo niente. La preghiera deve essere trasformante. Luca ne parla nella parabola del pubblicano e del fariseo. Uno si avvicina a Dio e non succede niente, entra pieno di se stesso ed esce pieno di se stesso. Un altro entra a pregare per lasciarsi trasformare. Non ha niente da dire, solo che è peccatore. È uno che apre il cuore a Dio. Usando una frase di San Paolo si può dire che il pubblicano ha permesso che l’uomo vecchio diventasse uomo nuovo. È difficile cambiare la mentalità di un uomo il cui IO è più grande di DIO.

SECONDA FORZA che ci mantiene insieme e che ci cambia È LA PAROLA letta, meditata, ruminata e vissuta. Nella Regola di vita e nei Documenti capitolari si dice che “La Parola di Cristo crea in te una mentalità missionaria”. Meditare questa Parola è lasciarsi convertire alla maniera di pensare e di attuare la volontà del Padre che fu proprio di Cristo. Quindi è una Parola che ti trasforma la mente, il cuore e quindi la tua persona: diventi una persona nuova. Nel Benin si usa una frase molto bella: “La parola entra nell’orecchio, si ferma un po’ nella mente, dalla mente passa all’utero (che è il cuore) e qui nasce una persona nuova”. Se la meditazione della Parola non mi aiuta a diventare una persona nuova, cioè persona cristificata, è un aborto, hai meditato coi preservativi.

TERZA FORZA È LA MISSIONE. L’anima che mantiene il Cenacolo unito è la missione. Comboni quando parla di missione dice che non è solo un posto dove andare, ma è un valore da vivere in ogni momento, è il valore che tiene unito il Cenacolo, è l’Amore che ci mantiene uniti. Comboni parla di missione come passione sua comune a tutti. Quando Comboni parla del suo Cenacolo, nel senso delle persone che aveva a disposizione dall’inizio, dice che erano diversi sia per spiritualità, sia per formazione che per esperienze, diversi nelle nazionalità, personale difficile da mantenere insieme, ma con un’unica passione, che è la missione. Una passione fatta non di entusiasmi falsi, non una missione fatta di emozioni, ma una missione che si incarna nella sua persona. E ad un certo punto si può dire che Comboni respira la missione. È la missione che ci mantiene in vita.

Un Cenacolo (traducete parrocchia, casa religiosa, convento, diocesi) che perde la dimensione missionaria diventa noioso ed annoiante.

Il Comboni pratica questa passione. Comboni è in missione in ogni momento. Senz’altro la sua preghiera è missionaria. Comboni dice: “Siccome l’opera che ho tra le mani è tutta di Dio, così è con Dio specialmente che va trattato ogni grande e piccolo affare della Missione”. Quindi la sua preghiera è inzuppata di missione e la missione è inzuppata di preghiera. In qualunque luogo si trovi, Comboni parla e ama. Quindi non c’è una differenza in Comboni tra essere a Khartoum ed essere a Verona. Questo è un punto molto importante per noi.

Comboni va, viaggia per parlare di missione, per aiutare ad innamorarsi della sua missione. I suoi viaggi hanno un solo scopo: animare. Sei imperatore? Devi interessarti della mia missione. Sei vescovo? Devi interessarti della mia missione. Sei suora di clausura? Devi interessarti della mia missione. Quando non può viaggiare scrive, e le poste funzionano molto bene. E di lettere ne scrisse migliaia. Nel 1871 Comboni confidò a mons. Luigi di Canossa che in cinque mesi aveva scritto 1347 lettere, e le lettere vanno da 2 a 20 pagine. Poi scrive ancora: “Ho da lavorare come Provicario, ed ho più di 900 lettere da scrivere”. Dove non arriva con le lettere manda articoli a quasi 44 giornali e periodici. Fonda anche una sua rivista “Annali del Buon Pastore”.

Allo stesso tempo Comboni si forma, si missionarizza perché cerca contatti con coloro che hanno più esperienza di lui. Ha contatti con don Bosco, con Lavigerie, con la Jaricot. Attraverso questi contatti si autoforma, cerca cioè una formazione permanente per lui, cerca di missionarizzarsi, vuole essere di più per dare di più.

Quando entra nei conventi di clausura invita ad essere missionari. Ha 100 conventi che sono incaricati di sostenere la sua Opera attraverso la preghiera.

Ci sono altre forze importanti per noi, che definiamo umane.

Primo: ottimismo unito a realismo. Comboni è ottimista, parla sempre bene dei suoi missionari. Attenzione, non è un ottimismo facile, è un ottimismo realista. Non dice: “Siete tutti benvenuti, avanti c’è posto per tutti”. No, è ottimista nel senso che quello che gli interessava era un solo pensiero: questo ama la missione? respira la missione? vive la missione? Per me è perfetto. Non è un ottimista che non vede i difetti. Li vedeva molto bene, ma non gli interessava. L’importante era che amasse la missione. Parla sempre bene dei suoi missionari e rimprovera qualche superiore che è troppo esigente. Scrive al superiore del Cairo: “Mi pare che vi sia del malcontento. Cercate perciò di trattare tutti con bei modi e gentilezze: se non si può ottenere dieci gradi di perfezione, otteniamo quel che possiamo, anche uno solo”.

Ha una grande consolazione nel vedere suore, preti e laici che lavorano con lui “sempre allegri e contenti e disposti a sempre più patire e morire. Essi ed esse parlano di fame, di sete, di malattie di morte, come di cose belle. Sono convinto che in fatto di abnegazione e spirito di sacrificio, nessuna missione ha missionari così solidi come la mia”. Solidi perché amano la missione. Poi ha difficoltà con qualcuno, per esempio con don Losi, che è un “cavallo pazzo”, ma anche attivo, grande missionario. L’importante è che amino la missione.

Secondo: oltre all’ottimismo c’è l’amicizia. E l’amicizia di Comboni è un’amicizia missionaria. È un uomo fedele nell’amicizia. Scrive: “La mia amicizia verso le persone amate, è forte, eterna, né può essere raffreddata dai più grandi sacrifizi”. E ancora: “Vi ho scelto ad amico, e perciò vi porto continuamente nel cuore”. Però c’è una base di questa amicizia. La base è ancora la missione. La sua amicizia si basa sulla fiducia reciproca, sulla stima reciproca, sulla sincerità.

Terza forza che tiene unito il Cenacolo è il perdono. Comboni sa che tutti abbiamo difetti. Il perdono diventa dono. Comboni nelle difficoltà che ha riesce non solo a perdonare ma a valorizzare le persone che si sono opposte a lui, perché ha visto in queste persone una virtù: l’amore alla missione. Ama la missione? Allora cosa mi interessa se la pensa differente da me? Per esempio: il Carcereri ha parlato male di lui, sono arrivate delle lettere maligne a Roma contro di lui. Comboni riesce e fare il passo del perdono. Perché? Perché i suoi oppositori stanno amando e sacrificando la vita per lo stesso amore, per la missione. Allora ha delle bellissime frasi di perdono e ci insegna che il perdono non è facoltativo, ma è fondamentale per mantenere il Cenacolo unito. Per esempio del Carcereri dice: “Ciò che molto mi sta a cuore è di conservare nella missione il P. Stanislao. Egli ha i suoi difetti; […] prodotti, credo, più dalla pericardite, o mal fisico che ha. Ma ha tali belle qualità, virtù, costanza, positività ed abnegazione che sarebbe per me un gran dolore il perderlo per la Nigrizia”. Dice anche con realismo: “Il P. Stanislao è terribile: però è un gran galantuomo, e per questo faremo sforzi per conservarcelo, e sforzi sovraumani”. E a don Losi che lo aveva denigrato con lettere maligne dice: “Figlio mio, scrivi ciò che vuoi a Sua Eminenza contro di me; scrivi anche a Roma alla Propaganda e al Papa che io sono una canaglia, degno del capestro etc. Ma io ti perdonerò sempre, ti vorrò sempre bene: basta che tu resti sempre in missione, e mi converta e mi salvi i miei cari Nubani, e tu sarai sempre mio caro figlio, e ti benedirò fino alla morte”. Comboni riesce a perdonare e a mantenere il Cenacolo unito con questo epicentro che si chiama missione.

Il senso di appartenenza permette l’incontro delle differenze. In ogni famiglia ci sono difficoltà, però questa è la mia famiglia. Il senso di appartenenza mi spinge a pronunciare la frase: “Io con questa vocazione comboniana che ho, voglio essere grazia e non disgrazia della missione comboniana”.

***

Cosa vuol dire amare la missione?

Raffiguriamo la missione come un albero che ha delle radici. Una radice si chiama spiritualità.

La spiritualità della missione è questa: non vengo per interessi umani, ma vengo perché sono spinto “da”, c’è qualcuno che mi ha chiamato e mi ha dato una spiritualità. La spiritualità comboniana è mettere la nostra residenza tra i più poveri. E io ho vergogna di parlare di povertà, perché non sono povero come vorrei. Tutti i giorni noi riceviamo un invito a pranzo dal ricco Epulone. Noi non dovremmo sederci tutti i giorni al tavolo di Epulone e nemmeno sederci tutti i giorni sul gradino dov’è seduto Lazzaro. Senza questa spiritualità la nostra missione diventa un volontariato a tempo. Quando uno è stanco se ne va. Mi pare che in missione non ci resisti se non hai una forte spiritualità; ad un certo punto ti stanchi, oppure ti costruisci le tue isole, le tue oasi. Questa spiritualità deve arrivare a farti innamorare di un popolo.

La volpe un giorno va dal leone: «Ho visto una cosa morta nel bosco».

«E che cosa è» domanda il leone.

«E che ne so io? Ha la faccia di un topo ma ha le ali».

«Se ha le ali è un uccello. Chiama gli uccelli che gli faranno il funerale».

Arrivano gli uccelli: «Perché ci hai chiamati? Noi non c’entriamo. Non vedi la faccia che ha? È un topo. Chiama i topi».

La volpe ubbidiente chiama i topi: «È morto un vostro parente, dovete fargli il funerale».

Quelli arrivano, poi protestano: «Cosa c’entriamo noi? Non vedi che ha le ali?».

E fu così che nessuno riconobbe il pipistrello, che rimase abbandonato nel bosco. Venne la notte ed una iena lo divorò.

Succede così a chi non sa decidersi e non sta da una parte né dall’altra.

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