Convegno dei laici comboniani – Pesaro, 19-22 luglio 2001


OGNI UOMO È MIO FRATELLO. L’ALTRO SONO IO

Il convegno dei laici comboniani che si è tenuto a Pesaro, dal 19 al 22 luglio 2001, ha offerto numerosi spunti di riflessione e di orientamento per l’attività di un gruppo missionario.

Relazione di p. Teresino Serra

Dio ha creato il mondo rotondo, perché fosse senza divisioni. La vocazione di ogni cristiano è quella di camminare nel mondo e testimoniare che Gesù è venuto a salvare tutti gli uomini, in modo particolare ad annunciare la liberazione agli schiavi, ad essere la speranza per i poveri.

Il laico missionario deve aiutare Dio ad essere la Speranza dei poveri (Salmo 12 – Salmo 116).

Chi è il Giusto di Dio, chi sarà degno di stare nella sua casa? (Salmo 15).

Il Vangelo narra che un giorno si presentarono a Gesù i discepoli di Giovanni Battista chiedendogli se egli fosse il Messia. Gesù rispose descrivendo quello che accadeva intorno a lui, quello che faceva per gli altri: «I ciechi vedono, i morti risorgono… e la salvezza viene annunciata ai poveri» (Matteo 11,5).

Siamo quello che facciamo per gli altri, chi non fa nulla non è nessuno, come il tralcio staccato dalla vite non produce nessun frutto.

La storia è disseminata delle rovine delle promesse non mantenute fatte dai falsi profeti all’umanità.

Gesù non promette, agisce, è la mano tesa di Dio verso tutti gli uomini.

Questa attenzione di Dio per l’uomo è rivolta a tutti, nonostante il male. Il male non paralizza Dio ma lo sprona a donare sé stesso, il suo unico Figlio. Dio tende una mano a tutti, in particolare alle pecorelle smarrite, ai peccatori.

Cristo si incarna nel dolore dei poveri e si identifica con i più piccoli. Nelle Beatitudini Gesù indica i suoi preferiti: i bambini, le vedove, gli stranieri, gli ammalati, le prostitute, in una parola gli ultimi. «Sono venuto per servire» dice Gesù, che dimostra sempre “con-passione” per i poveri.

Gesù è l’Uomo per gli altri. Al fariseo che gli chiede, con una domanda dal sapore razzista, «chi è il mio prossimo?», Gesù risponde narrando la parabola del Buon Samaritano (Luca 10,25-37).

Chi è il prossimo per Dio? Dio non fa distinzioni, il nostro prossimo è ogni uomo, è chi ci passa accanto. «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico…». È la strada dalla città di Dio alla città del mercato, la via del pericolo, la strada dell’odissea dei poveri.

Il brano del Vangelo descrive prima due indifferenti alla sofferenza del prossimo, un sacerdote ed un levita. Il primo «si scostò» addirittura per non vedere. Se il culto non dimostra amore diventa solo un teatro, «non voglio canti ma giustizia» dice il salmista.

Alla fine passa un samaritano. Non era uno regolare, per gli ebrei era un impuro, scismatico ed eretico. Per Dio è il più giusto, perché ha un cuore compassionevole e dimentica i propri interessi. È uno che ama concretamente ed agisce.

Il Vangelo descrive i dieci verbi dell’amore: «Lo vide, ne ebbe compassione, gli si fece vicino, versò olio e vino sulle sue ferite e gliele fasciò, lo caricò sul suo asinello, lo portò ad una locanda, si prese cura di lui, estrasse due denari, li diede all’albergatore e infine gli raccomandò il ferito dicendo: «Abbi cura di lui ed anche se spenderai di più pagherò io quando ritornerò».

La parabola ci invita a non dire mai: non tocca a me, ho già fatto abbastanza, ho bisogno di riposo. L’amore non stacca mai la spina.

Un esempio splendido di Buon Samaritano è stata l’azione missionaria di Daniele Comboni. Il cuore di un apostolo deve essere libero di amare e la povertà è la precondizione. Quello di Comboni è un amore apostolico che costa, viaggi massacranti, pericoli di ogni genere. Eppure quando torna a Khartoum dichiara: «Sono ben felice di ritrovarmi finalmente reduce a voi. Io prendo a far causa comune con voi, il primo amore della mia gioventù. Io sono vostro padre e voi i miei figli» (Omelia dell’11 maggio 1873 – Scritti 3156-3159).

È evidente nella vita di Comboni la scelta preferenziale dei poveri. Ha scelto un’Africa dimenticata, in un periodo in cui tutte le grandi potenze europee stavano sfruttando gli africani. Comboni va contro l’ideologia colonialista.

Si schiera a fianco degli schiavi e contro i potenti, condanna soprattutto i cristiani conniventi con gli schiavisti.

In Comboni prima di tutto viene l’attenzione per l’uomo, il battesimo viene solo dopo che ha curato le ferite del suo popolo. C’è una bella testimonianza dell’esploratore italiano Pellegrino Matteucci a questo proposito. «Scrivo e piango – scriveva Matteucci -. Di tutti i missionari di Khartoum non rimangono che due o tre campioni; e non sopravvive che per piangere mons. Daniele Comboni, la personalità più spiccata tra gli apostoli dell’Africa centrale. Egli è un uomo dalla tempra di ferro che resiste e lotta, ma ha perduto la fibra aitante e robusta che la sua giovane età gli darebbe diritto di possedere. Ma, mentre piange sulle tombe dei suoi missionari, egli medita un’avanzata sulla linea dell’Equatore».

Daniele Comboni prima di tutto dona sé stesso. Tra l’amore dei genitori e Dio sceglie la fedeltà alla sua missione.

Nell’attività missionaria di Comboni si nota un cambio di mentalità: da un modo di pensare europeo cambia fino ad assumere una mentalità africana.

Si adira contro l’indifferenza dei cattolici e chiede alla Chiesa, nel Concilio Vaticano I, di «aprire le porte per fare entrare aria nuova», intendendo le necessità dei popoli della Nigrizia.

Il sogno di Comboni si è realizzato solo dopo la sua morte. Il papa Paolo VI, con il discorso tenuto nel 1969 nella cattedrale di Kampala, ha riconosciuto l’intuizione di Comboni, salvare l’Africa con l’Africa, parlando di una Chiesa africana «genuina e originale». Una Chiesa che ha dei tesori nascosti che le Chiese europee, per rinnovarsi, devono ancora conoscere e fare maturare. Per divenire una vera Chiesa dei poveri.

Relazione di Riccardo Milano

Oggi l’economia ha perso di vista il proprio fine, che è quello di dare felicità all’uomo. La crescita del benessere, la produzione di tanti beni, non ha donato più felicità. L’utilitarismo ci ha fatto credere che la felicità sia la somma di tanti beni. A questo pensiero si oppose l’economia etico-sociale di Giuseppe Toniolo.

L’economia deve rimettere al centro l’uomo. Per fare questo deve «ridiventare madre». Purtroppo le donne che contano, in economia, sono ancora troppo poche.

È possibile essere coerenti al Vangelo in un mondo che ubbidisce alle leggi economiche? Queste sono ancora ferme ai numeri. Ma si deve mettere al centro l’uomo.

Anche nella Chiesa manca una trasparenza per l’analisi economica: ci sono buoni testi, basta pensare alla Populorum progressio, ma la massa dei fedeli non li conosce e non vengono messi in pratica. Bisogna coinvolgere la comunità. I gruppi sociali si stanno coalizzando attorno agli ideali della nuova economia. Per andare avanti occorre molta cultura e molta informazione. Bisogna cominciare un cammino verso una nuova economia cristiana partendo dalla gente. La Banca Etica va bene, tenendo conto che il bene va fatto bene, ma una struttura simile ha bisogno di radicarsi.

Dobbiamo cambiare il nostro modo di vivere la realtà economica: dalla cultura del possesso bisogna far crescere la cultura del dono; al posto dell’accumulazione dobbiamo mettere la condivisione; invece della competizione la cooperazione; l’individualismo lo dobbiamo sostituire con la solidarietà; al posto del consumo cieco dobbiamo impegnarci per un uso accorto delle risorse; invece di dire «mi piacerebbe» dobbiamo abituarci a chiederci «mi serve?».

Relazione di Egle e Mario Sberna

All’inizio c’è stata l’esperienza dell’amore gratuito di Dio «quando ancora gli eravamo nemici».

Come coppia ci siamo sforzati di mettere in pratica la parabola del Buon Samaritano, preoccuparci per il prossimo, avere compassione per chi soffre.

Siamo partiti con il catechismo in parrocchia. Abbiamo frequentato un corso per laici con lo Svi, il Servizio volontariato internazionale di Brescia. Al momento della partenza per il Brasile ci agitavano tante cose, ed i nostri amici ci facevano capire quanto fosse azzardata la nostra scelta.

Abbiamo pregato molto, la missione ci ha insegnato ad essere famiglia.

Giorno per giorno ci accorgevamo che è nel servizio agli altri che Dio si manifesta. Facendoci prossimo ci avvicinavamo a Dio. Constatavamo che Gesù vive a fianco degli ultimi.

A noi ricchi infatti dimostra amore con l’espressione del Vangelo «Guai a voi…» (Luca 6,24).

Con gli oppressi abbiamo sperimentato la paura, la morte. Abbiamo condiviso il pianto e la preghiera.

La precarietà ci ha fatto scoprire Dio. Bisogna vivere in società povere per capire i poveri. Là abbiamo ritrovato il senso della vita. Non ci siamo più chiesti chi è Dio, ma dove vive Dio. E l’abbiamo ritrovato tra i poveri.

Abbiamo sperimentato una comunità di fratelli, scoprendo che è fondamentale la preghiera comunitaria.

In missione abbiamo imparato ad alleggerirci dei nostri bisogni. Nella nostra società opulenta dobbiamo affermare il diritto alla diminuzione. Perché questa continua crescita? Perché i ricchi diventano sempre più ricchi ed i poveri sempre più poveri?

La sofferenza più grande per il Sud è l’indifferenza del Nord, ricco ed opulento.

Siamo un piccolo gregge, ma dobbiamo affrontare il rischio con speranza. Non dite mai che siamo pochi: ai poveri appartiene il mondo che verrà.

Che fare?

Egle e Mario Sberna indicano una serie di obiettivi possibili.

1) Pressione sui politici che abbiamo eletto, perché facciano politica a favore delle classi deboli.

2) Leggere e diffondere Nigrizia e le riviste missionarie.

3) Controllo della TV sui figli, un impegno notevole per gli educatori.

4) Campagne nelle scuole: contro le mine, la pena di morte, per l’abolizione del debito.

5) Stile di vita sobrio: abiti usati, raccolta differenziata, limitare l’uso dell’automobile.

6) Autotassarsi in famiglia mensilmente con un fondo per l’aiuto solidale.

7) Possibilità di impegnarsi in un affido o adozione, per dare una speranza ai 45.000 bambini che in Italia vivono negli orfanotrofi.

8) Prendere sul serio il boicottaggio di determinati prodotti, facendosi aiutare dai libri e dalle guide al consumo critico.

9) Riservare la domenica al Signore e non al supermercato.

10) Le feste di compleanno o le cresime devono essere sacramenti e non occasione di consumo.

11) Impegnarsi nella finanza etica: prestare soldi senza interessi è rivoluzionario in questa società.

I lavori di gruppo

Le discussioni di gruppo, dopo le relazioni, hanno permesso di individuare alcuni «punti fermi» nell’attività di un gruppo missionario.

1) Non operare mai da soli, ma maturare una vera coscienza di gruppo, un cenacolo, una comunità. Il tralcio, da solo, muore.

2) Privilegiare nelle nostre attività le opere di accoglienza e solidarietà verso gli immigrati.

3) Puntare sui giovani, che sono dal punto di vista culturale i poveri sfruttati da questa società. Credere nei giovani, la speranza dell’umanità.

4) Vedere a questo proposito la casa di Fai della Paganella come una grossa opportunità di animazione missionaria nei confronti dei giovani.

5) Pregare e meditare le testimonianze di vita in gruppo.

6) Svolgere un’attività di propaganda per le riviste ed i libri che parlano dell’Africa e del Sud del pianeta.

7) Prevedere che il gruppo possa avere dei momenti di riflessione nelle scuole.

8) Cercare un collegamento con i gruppi di impegno sociale all’esterno, senza avere paura di giocare un ruolo politico anche in campo nazionale.

9) Vivere in sintonia con la famiglia comboniana. A questo proposito impegnarsi tutti per testimoniare le nostre attività nella pagina dei laici su «Azione missionaria».

10) Impegnarsi nei limiti del possibile ad impostare le nostre attività secondo un programma annuale, da far conoscere agli altri gruppi della provincia comboniana di riferimento.

Nella discussione di gruppo è infine stato sottolineato che la formazione cristiana e missionaria è come un lungo cammino: non importa se non riusciamo a realizzare tutto e subito, questo dipende da molte contingenze. L’importante è che non smettiamo mai di crederci, mantenendo il contatto con la Vite, che dona energia ai tralci, il contatto con Gesù ed il carisma missionario del Beato Daniele Comboni, nostro protettore.

Pino Murgioni

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