Combo-online – Febbraio 2021

Bari | 28 Feb 2021

A cura di Francesca (Ostuni – BR)

Procede il nostro cammino di formazione e coscientizzazione in ascolto di testimoni e attivisti, sognatori di un mondo altro, attraverso i webinar del progetto della Famiglia comboniana d’Italia Cantiere Casa Comune.

Il primo di questi incontri, per il mese di febbraio, dal titolo COINVOLGERE PER PROMUOVERE: IL SOGNO DI UNA COMUNITÀ MULTIETNICA – RIACE, guidato da Chiara Marchetti per Ciac Onlus, ci ha condotto per le stradine del piccolo borgo calabrese di Riace attraverso il racconto e la passione di Domenico Lucano, già sindaco della cittadina, e dello sguardo profetico di padre Alex Zanotelli, missionario comboniano, da anni attento e accanto al respiro innovativo e utopico che anima e ha animato questo borgo, diventando polo attrattivo ed embrione di una nuova esperienza di inclusione, fraternità e sororità.

«Ho mischiato la mia storia con i fatti del mondo, non ho optato per una pratica ma sono stato a casa loro, ho condiviso il loro senso di riscatto, dei migranti così come degli abitanti di Riace».

Mimmo Lucano utilizza queste parole per raccontarci dell’esperienza di Riace, non un modello asettico applicato dall’alto ma un’esperienza umana, partita dal basso, attivatasi semplicemente, umanamente, di fronte ad una barchetta apparsa lungo le coste riacesi.
«Non si può rimanere insensibili» di fronte all’umanità ferita, «io a casa e le persone che dormono per strada!».

Riace è un luogo di confine, una terra di migrazioni e di migranti, un piccolo borgo disabitato, mancante di generazioni perché privo di possibilità lavorative, controllato dalla ’ndrangheta e dalle logiche massoniche, che Mimmo, caparbiamente, ricorda Alex introducendolo, ha sfidato.
«La politica può essere strumento importante per la nascita di un atteggiamento culturale nuovo» in una terra marchiata dal latifondismo agrario, subordinata ad una politica per lunghi anni “caritatevole” nei confronti del Mezzogiorno; in una terra ferita dalla criminalità organizzata e dalla partenza di generazioni per altrovi in cui trovare fortuna; «l’accoglienza è stato un toccasana anche culturalmente, valori quali la fraternità e l’accoglienza si sono diffusi contro le logiche delle mafie e della loro violenza».

L’esperienza di rigenerazione urbana e di accoglienza diffusa di Riace grida a gran voce che nuove possibilità e strade di inclusione, rispettose dell’umanità di tutti, sono possibili; «non è più possibile tornare indietro!».

La passione di Mimmo, la lotta e la determinazione di un uomo provato dalle vicende giudiziarie che nel nostro Paese interessano sempre più persone solidali con i migranti, ci interroga e ci scuote. «Chi è illegale? Come e quando una persona può essere illegale?» ci chiede Mimmo, inchiodandoci a darci una risposta, a rivedere le nostre quotidiane pratiche, i nostri linguaggi troppo spesso implicitamente razzisti, le nostre tiepidezze mentre migliaia di bambini, bambine, donne e uomini affrontano e subiscono violenze, affrontano viaggi in condizioni disperate e camminano a piedi scalzi nella neve.
Alex, anch’egli uomo appassionato e lasciatosi ferire dal grido degli impoveriti, ci desta alla dimensione della possibilità e del sogno come elementi, pensieri e corpi imprescindibili: «riprendiamo a sognare in grande in un mondo che sta andando verso la morte. Io credo in un Dio che dà vita e che vuole che viviamo tutti». Unire inseparabilmente fede e vita mentre Riace, come un pungolo, continua a dirci che i sogni possono realizzarsi, che l’urgenza è quella di diventare umani partendo dal basso, creando movimenti popolari che indichino la strada a governi intrappolati in dinamiche finanziarie e militari e per questo di morte.

«Coraggio! È possibile!».

Il secondo appuntamento, dal titolo FINO A QUANDO CI TAGLIATE FUORI? IL LUNGO CAMMINO VERSO LA CITTADINANZA, facilitato da padre Filippo Ivardi, direttore di Nigrizia, ha visto la partecipazione di giovani impegnati sul territorio nazionale per il riconoscimento pieno dei diritti:

Amin Nour, attore, regista e attivista dell’associazione Neri Italiani – Black Italians, Veronica Atitsogbe per l’associazione AfroVeronesi e Sonny Olumati, ballerino, coreografo, scrittore e rappresentante del movimento Italiani Senza Cittadinanza.
Prendendo le mosse dall’ideale di un’umanità plurale e di una casa comune che ci permetta di camminare insieme, non chiusi nelle proprie roccaforti, ma da cittadini globali, senza barriere e confini, padre Filippo introduce questo incontro che dà voce ai figli e alle figlie dei migranti che non hanno diritto alla cittadinanza, ancora aspramente negata nel nostro Paese.

L’incontro verte sulla conoscenza e testimonianza della lotta che interessa circa 11 milioni di giovani attraverso manifestazioni, eventi artistici e di sensibilizzazione. Movimenti che riflettono una fascia di popolazione italiana senza cittadinanza, nata in Italia, appartenente al tessuto sociale italiano, ma che rimane esclusa ed abbandonata: «non possiamo viaggiare, abbiamo difficoltà nell’accedere ai documenti e ai concorsi pubblici, come quando a scuola eri escluso dai compagni di classe dalla squadra di calcio. Solo che è il tuo Paese a farlo e tu non gli hai fatto niente».

Naturalmente, come sottolineano gli ospiti, il problema non è solo a livello legislativo ma anche e forse soprattutto a livello culturale. «Siamo in una società tradizionalista e conservatrice, restia ad accogliere novità all’interno della propria cultura».

Da un punto di vista legislativo, si sono susseguite varie proposte circa la modifica della riforma sulla cittadinanza e sono stati aperti diversi tavoli; un passo indietro si è avuto con il ministro Salvini e con i decreti che hanno aggiunto ulteriori paletti ad una questione già complessa.
«Non possiamo che continuare a combattere per i diritti di milioni di giovani e bambini in attesa di cittadinanza perché la loro vita e la loro appartenenza all’Italia sia riconosciuta dall’Italia stessa», afferma Sonny; «occorre muoversi dal basso, se vogliamo accendere i riflettori su di noi dobbiamo accenderceli da soli, fare attivismo, partecipare alla politica e al cambiamento, non solo guardarlo».
«Custodiamo la speranza di creare un ponte tra le nostre culture di appartenenza e la cultura veronese, creando un luogo sicuro nel quale poter parlare di sé, delle proprie esperienze e delle problematiche che quotidianamente affrontiamo», ci racconta Veronica.

Il problema identitario per questi ragazzi è davvero forte e passa attraverso il riconoscimento giuridico; «urge un cambiamento, essere esclusi è molto brutto, significa non potersi integrare, non poter partecipare alla gita scolastica, non vogliamo che le generazioni future vivano ciò che abbiamo vissuto noi», incalza Veronica.

«Ci sono italiani di serie A e di serie B; la mancanza di cittadinanza non permette la partecipazione al voto e anche questo è un aspetto che va affrontato» precisa Amin.

Siamo di fronte ad un problema complesso che non aspira alla creazione di spazi a discapito di altri, combattendo la discriminazione discriminando altri, ma si propone come cambio di rotta culturale che chiede che le cause di una minoranza possano essere accolte e sostenute da una maggioranza, in una dimensione democratica, solidale e pienamente umana.

Questo anche il nostro auspicio.

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