Molte domande, poche certezze


Giorno 1224

A Mongoumba, senza TV, senza internet, senza radio, senza la possibilità di fare test, senza sapere bene cosa sia il coronavirus – qui lo chiamiamo kobela sioni cioè malattia cattiva – la concretezza visibile e materiale della pandemia è stata la comparsa di qualche mascherina e di grandi bidoni per lavarsi le mani nei luoghi pubblici maggiormente frequentati (mercato, chiese, municipio, gendarmerie, sous-préfecture, “ospedale” e scuola).

Dopodiché, per non morire di fame, bisogna cercare di guadagnare 1000 franchi (1,50 euro) ogni giorno per sopravvivere, pescare il pesce, raccogliere la legna per il fuoco, preparare la polenta di manioca… vita quotidiana normale, ma con molte domande concrete: dove stanno tutte queste persone (ad oggi più di 3000) contagiate? Come fanno a guarire se ancora non c’è un farmaco o un vaccino? Quando arrivano le 10 milioni di mascherine promesse dal Presidente?

Da due settimane il governo ha “addolcito” le misure anti-virus nei luoghi pubblici: obbligatorio un bidone con sapone per lavarsi le mani, indossare mascherine e distanziamento fisico di 1 metro; questo ha significato l’apertura delle chiese ma non delle scuole, perché il problema è di difficile soluzione: come facciamo a stare nelle nostre classi pollaio rispettando il distanziamento? A scuola non possiamo più stare vicini ma a casa sì? Penso che i bambini non capirebbero le limitazioni spaziali visto che nel quartiere giocano tranquillamente e si ammassano.

Molte domande, poche certezze…

Quindi, dopo quasi 3 mesi, sembra essere ricominciata la normalità; domenica la campana della chiesa è ritornata a suonare e Marie, Pierre, Marguerite, Marie, Véronique, Pierre, Léontine, Marcel e Thérèse hanno deciso di venire dall’accampamento pigmeo di Ndobo per la nostra “abituale domenica mattina”, che consiste nel nutrire lo Spirito (messa), riempire lo stomaco (colazione insieme con latte, cioccolato e biscotti), rigenerare il corpo (ballo, gioco, film).

Un’inaspettata sorpresa…

«Ascoltate bene: mettetevi in fila e, uno alla volta, entrate e sedetevi dove c’è la X».
«Mmmm» (“sì” in sango).
Ho aperto la porta del nostro piccolo dispensario che la domenica si trasforma nel nostro recinto e le pecorelle hanno ascoltato la mia voce; sono entrate, si sono sedute distanziate, ognuna sulla sua X, e ho chiuso il recinto.
«Voi sapete che c’è una malattia cattiva?».
«Mmmm».
«Questa malattia ha chiuso la scuola e la chiesa!».
«Mmmm».
«Ora, uno alla volta, ci laviamo le mani con il sapone!».
«Mmmm».
Sono andato a prendere un catino pieno d’acqua e il sapone e uno alla volta in silenzio ci siamo lavati le mani.
«Oggi non possiamo andare in chiesa perché non abbiamo mascherine!»
«Mmmm».
«Ça va bien?».
«Ça va bien!» (in coro).
Marie: «Simone, ka!», indicandomi la sua piaga sulla caviglia, dopo quasi 3 mesi si è ingrandita…
«Va tutto bene nell’accampamento?».
«Ça va bien!» (in coro).
«I bebè Simone, uno e due, stanno bene?».
«Ça va bien!» (in coro).
Nell’accampamento erano nati tre maschietti a cui è stato dato il nome Simone, uno si era già “perso”, gli altri due “ci sono ancora”.

Poi hanno cominciato loro a fare le domande/richieste.

La prima è venuta dal cuore: «Dov’è Cristina? Ritorna? Quando ritorna?».
«Cristina non ritorna, ora lavora nell’ospedale del suo paese! Ascoltate bene, la scuola è finita, tra un po’ anche io vado al mio paese!».
«Eh eh (“no” in sango)… E duti na lege, e kanga ni, mo aho ape!» (“Noi ci sediamo sulla strada, la chiudiamo, tu non passi!”).

La seconda è venuta dallo stomaco: «Simone, chocolate!».
Sono andato a preparare il latte caldo con il cioccolato e i biscotti e, ognuno al suo posto, abbiamo fatto colazione insieme.

La terza è venuta dalla voglia di stare insieme: «Simone, musique! Simone, film!».

Prima che ritornassero all’accampamento ho curato e fasciato la piaga di Marie, poi…

«Fade so e sambela…» (“Ora preghiamo…”).

«Na iri ti Baba na Molengue na Yngo Gbya…» (“Nel nome del Padre…”).

«Baba ti e…» (“Padre Nostro…”).

Come poter insegnare ad essere fratelli e sorelle se non possiamo prenderci per mano per dire “Padre Nostro”?

Come imparare a condividere se non possiamo sederci vicini allo stesso tavolo?

Molte domande, poche certezze…

1. Tutte le pecorelle stanno bene.

2. Dopo quasi 3 mesi ascoltano ancora la voce del pastore.

3. Il pastore non ha perso l’odore delle pecore.

4. Il Piano funziona.

Simone

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