Valutazione di metà progetto Aber

Progetti nel mondo | 25 Feb 2013

1. Introduzione

Questa valutazione vuole da una parte invitare noi, Marco e Maria Grazia, a fermarci un attimo e rivisitare il nostro vissuto di quest’ultimo anno e mezzo di esperienza africana; dall’altra vuole invece essere uno strumento utile che, partendo dagli obiettivi che ci eravamo posti all’inizio e sulla base del nostro vissuto, ci permetta di fare alcune considerazioni che ci aiutino a proseguire in ciò che stiamo facendo o, eventualmente, a modificare il nostro modo di essere presenti in mezzo a questa gente.

Crediamo sia importante partire proprio da una rilettura degli obiettivi che ci eravamo posti inizialmente, della descrizione del progetto e di quale idea avessimo in mente sulle relazioni con la famiglia comboniana per guidare la nostra riflessione e rendere più comprensibile la rilettura che cercheremo di farne.

2. Rilettura del progetto “Piccione Marco e Pizzi Maria Grazia – Aber (Uganda) – 2011-2014”

2.1. Capitolo 3: Obiettivi

3: Obiettivi
3.1: Obiettivo generale del progetto
Questo progetto vuole essere pensato per una famiglia (e non due singoli laici) che si inserisce nel tessuto sociale locale con il quale condivide lo stile di vita e la quotidianità. In particolare vuole proporre una presenza missionaria integrata con la pastorale e con le azioni sociali a livello di famiglia comboniana. L’apostolato dei laici si realizzerà mediante lo svolgimento delle attività legate alla nostra professionalità, mediante la nostra specificità dell’essere famiglia e nella testimonianza del messaggio del Vangelo come buona notizia di pace, giustizia e speranza per tutti.
3.2: Obiettivi specifici
• Maria Grazia si inserirà all’interno dell’ospedale diocesano presente ad Aber mentre Marco affiancherà le suore responsabili della gestione di un orfanotrofio rivolto a bambini e ragazzi tra i 6 e i 18 anni.
• Ampliare e rafforzare autentiche esperienze di intercambio socio-pastorali.
• Inserirsi in un progetto di Chiesa partecipativa, rafforzando la dimensione della comunione e della missionarietà.
• Attività di pastorale della famiglia.

2.2. Capitolo 7: Descrizione del progetto

7: Descrizione del progetto
La realtà locale presenta molteplici sfide tra le quali sono state individuate tre aree di lavoro all’interno delle quali i laici possono avere modo di perseguire l’obiettivo di questo progetto. La scelta delle aree di intervento deriva dalla valutazione delle competenze dei LMC coinvolti, dalla loro natura stessa dell’essere famiglia cristiana unitamente all’individuazione delle necessità presenti al momento della stesura del progetto e riscontrate anche tramite il vescovo della diocesi locale. Il progetto prevede che le attività qui presentate possano essere modificate a seconda del mutare della realtà/necessità senza però cambiare le finalità del progetto.
Area di Lavoro 1: Attività socio-sanitaria
Maria Grazia si inserirà all’interno della realtà ospedaliera come medico svolgendo le normali attività previste e secondo le modalità concordate (turni notturni e festivi, rotazione sui vari reparti a seconda delle esigenze).
Area di Lavoro 2: Attività socio-educativa
Marco sarà inserito come educatore nella struttura che ospita bimbi e ragazzi orfani con età compresa tra i 6 e i 18 anni. In équipe con le suore che si occupano della gestione dell’orfanotrofio, verranno decise di volta in volta le attività e gli interventi più opportuni per il raggiungimento degli obiettivi educativi prestabiliti.
Area di Lavoro 3: Attività di pastorale familiare
Oltre ad essere presente come famiglia e condividere la quotidianità con la gente locale, pensiamo di stendere un progetto in collaborazione con il vescovo Franzelli e le realtà già presenti sul territorio con lo scopo di condividere con le famiglie del posto un percorso teso a rispondere alle problematiche che loro sentono come più vive, attuali ed urgenti.

2.3. Relazioni con la famiglia comboniana

8: Relazioni con la famiglia comboniana
Uno degli obiettivi dell’esperienza è partecipare alla costruzione di una comunità comprendente i laici comboniani e le realtà locali (sia consacrate sia laiche), attraverso la condivisione, il lavoro pastorale e la spiritualità missionaria. Per questo, si cercheranno di pianificare e realizzare incontri di preghiera e condivisione tra LMC, comboniani consacrati presenti nel territorio circostante e la comunità religiosa locale. Si intende inoltre partecipare alle attività e alle celebrazioni parrocchiali. Il progetto auspica che si possano creare altre occasioni informali di incontro e condivisione tra i LMC presenti in Uganda. Inoltre, Marco e Maria Grazia potranno eventualmente partecipare a momenti di discussione e formazione realizzati con i comboniani della Provincia ugandese.

3. Considerazioni e valutazioni sull’andamento del progetto

3.1. Obiettivi specifici

Tentando di fare una valutazione in merito al perseguimento degli obiettivi specifici, ciò che salta all’occhio è che, là dove ci sono progetti già avviati è più semplice inserirsi e dare il proprio apporto, dove invece bisogna costruire da zero un progetto, il tutto diventa più difficile.

Nello specifico, si può dire che dove abbiamo potuto inserirci con le nostre professioni in qualcosa di già esistente (sia l’ospedale o l’orfanotrofio) siamo riusciti, pur non senza difficoltà, a plasmare e adattare la nostra esperienza pregressa e le nostre conoscenze per cercare di fare al meglio la nostra parte.

Anche forti delle nostre competenze abbiamo potuto condividere le nostre idee in merito a come impostare il lavoro quotidiano e, anche se le diversità di vedute erano a volte molto distanti, si è potuto comunque collaborare, scambiare e crescere insieme.

Negli ambiti in cui invece non c’era qualcosa di avviato e in cui, forse, ci sono anche le maggiori differenze in termini di impostazioni e di modalità di approccio alle tematiche, l’inserimento è risultato più difficoltoso.

Mi riferisco soprattutto all’obiettivo di crescere come Chiesa partecipativa ed entrare nelle dinamiche della pastorale della famiglia. In questo primo anno e mezzo di progetto abbiamo potuto vedere come la società e la Chiesa in Italia e qui in Uganda sono molto differenti. Quando si affrontano certe tematiche soprattutto come la famiglia e come giustizia e pace entra in gioco un bagaglio culturale, dei condizionamenti e delle strutture sociali legate alla storia e al recente passato di questo popolo che non sempre sono facili da comprendere per degli “estranei” e che quindi non sempre permettono di interagire al meglio.

Infine, sul piano della condivisione, dell’intercambio e della comunione crediamo che sia molto complicato riuscire a trovare persone unicamente interessate a creare relazioni tese ad arricchirsi reciprocamente sul piano umano e valoriale. Purtroppo, anche se è brutto da dire, il nostro essere bianchi condiziona a priori il rapporto orientandolo sui binari del chiedere un aiuto soprattutto in termini economici.

3.2. Le aree di lavoro

3.2.1. Area di lavoro 1: attività socio-sanitaria (Maria Grazia)

Come previsto dal progetto sono stata assunta dal Pope John Hospital di Aber come dipendente alle stesse condizioni lavorative dei colleghi locali.

All’inizio ho fatto un periodo di affiancamento con Caterina, poi ho acquistato sempre più autonomia ed in considerazione della necessità di un medico nel reparto di pediatria, in accordo con il Medical Superintendent (il responsabile sanitario dell’ospedale) sono stata assegnata al reparto di Pediatria dove ho lavorato come unico medico presente da ottobre 2011 ad agosto 2012. Non avendo esperienza pediatrica ho dovuto aggiornarmi e affidarmi soprattutto all’inizio all’aiuto dei colleghi, in particolare Caterina.

Oltre alla sfida strettamente professionale ho dovuto affrontare la riorganizzazione del reparto e ho dovuto lottare contro una serie di abitudini e di pratiche non molto condivisibili nella gestione del reparto: ripristinare il giro visita quotidiano invece che tri-settimanale, giro terapia al letto invece che in sala infermieri, rimozione campioni per esami in reparto invece che in laboratorio, disponibilità dell’ossigenoterapia 7/24 (più o meno).

All’inizio questo ha provocato notevoli resistenze, ma con il passare dei mesi ha portato i suoi frutti ed anche ora che non sono più assegnata a quel reparto l’équipe infermieristica della pediatria è una delle più attente e spesso sono le stesse infermiere a segnalare e monitorare i pazienti più gravi e a chiedere l’intervento medico se lo ritengono necessario.

Per quanto mi riguarda l’esperienza in pediatria è stata ricca di sfide, ma molto arricchente dal punto di vista professionale e umano; in particolar modo per la possibilità di essere vicina alle giovani mamme, che sono una delle parti più emarginate e deboli della società, e per il rapporto con le infermiere che in alcuni casi si è rivelato molto arricchente e costruttivo.

A luglio 2012 è iniziato un progetto CUAMM che ha l’obiettivo di rendere più accessibile il parto sicuro e le cure perinatali per gli abitanti del nostro distretto (Oyam). Il progetto prevedeva la presenza di un pediatra, ed anche in considerazione dell’imminente rientro di Caterina in Italia, sono ritornata nel reparto di medicina dove svolgo tuttora il mio servizio. Inoltre continuo l’attività di guardia su tutti i reparti a turni durante notti e festivi.

Anche in medicina si stanno consolidando delle buone relazioni professionali e umane con le infermiere e con il personale dell’ospedale in genere, pur non mancando le conflittualità tipiche di ogni posto di lavoro. Dopo un anno e mezzo sono ancora più convinta che la mia posizione di “normale” dipendente dell’ospedale, da un certo punto di vista comporta molte limitazioni nel mio operare (non ho influenza sulle scelte dell’ospedale in ragione del fatto che per esempio porti delle donazioni o sia stata investita di un ruolo particolare dal vescovo) dall’altro lato mi permette di incarnare al meglio la scelta di essere missionaria accanto alla gente di qui, condividendo il più possibile le stesse condizioni lavorative.

Il progetto CUAMM ha comportato la presenza di alcuni colleghi italiani con cui si è creato un buon rapporto dal punto di vista lavorativo e umano. Un grande progetto di cooperazione in un contesto lavorativo come questo pone sempre anche delle criticità rispetto alle modalità di intervento e rispetto al flusso di grossi capitali che non sono sempre e totalmente direzionati ai più bisognosi. Anche il confronto con questa realtà ci ha permesso di apprezzare la nostra scelta di povertà e di inserzione in questo contesto che si rivela poi essere anche una scelta di libertà e di giustizia.

3.2.2. Area di lavoro 2: attività socio-educativa (Marco)

Come previsto dal progetto, la mia principale attività è stata la gestione della parte educativa dell’orfanotrofio St. Clare. All’inizio la cosa più difficile è stato il sentirsi équipe, il sentirsi squadra con le due suore che si occupano della gestione pratico/amministrativa della struttura. Da parte loro non c’era nessuna esigenza di condividere il proprio vissuto, di affrontare insieme le problematiche che riguardavano i ragazzi e di pianificare attività ludico/educative. In pratica non c’era nessuna necessità di ritagliarsi momenti per condividere o di fare riunioni organizzative. Così i primi mesi sono passati lavorando in modo individuale e cercando di conoscere i ragazzi. Poi da febbraio dell’anno scorso abbiamo finalmente fissato una riunione d’équipe ogni due settimane. Frutto di questo risultato è stata la modifica della time-table per la “giornata-tipo”. Così abbiamo iniziato a fissare dei momenti in cui i ragazzi, a volte divisi per età, a volte tutti insieme potevano partecipare ad attività ricreative e formative. Molto positivo è stato poi l’arrivo di un primo educatore tedesco a luglio e di una seconda educatrice a settembre che hanno vissuto stabilmente all’interno della guest house dell’orfanotrofio. In questo modo è stato possibile organizzare e seguire più da vicino le iniziative proposte. Le attività avevano diverse finalità; alcune erano più finalizzate al puro divertimento; altre all’insegnamento di come stare in gruppo rispettando le regole e ricoprendo il proprio ruolo; altre ancora erano invece centrate “sull’aprire la mente” dei ragazzi dando loro la possibilità di scoprire il mondo al di fuori di Aber; altre, infine, per approcciarsi a materie didattiche con strumenti diversi e metodologie più accattivanti. Esempi di queste attività sono: il cineforum, la biblioteca, i corsi di computer, i laboratori di cucina, le cacce al tesoro, le partite di calcio, attività di pittura, la creazione di un cd musicale e di un album fotografico e molte altre ancora.

Come sempre nel mio lavoro, la parte più bella e ricca di soddisfazioni sono le relazioni con i ragazzi che, anche se a volte limitate dalla lingua o da alcune barriere, riescono comunque a darti gioia e la carica per affrontare le difficoltà e le stanchezze.

Come prospettive per la seconda metà di progetto, c’è lo svolgimento di altre attività come “drama” e incontri a tema soprattutto per i ragazzi della primary 6 e primary 7 (per venire incontro a problemi riscontrati quali il bullismo e le gravidanze precoci) ma innanzitutto c’è la volontà di far passare l’idea che avere una figura educativa in un contesto come un orfanotrofio con 150 ragazzi è assolutamente indispensabile. Si cercherà nello specifico di trovare due figure locali che possano affiancarmi almeno per un anno per poi poter andare avanti da soli al momento della mia partenza.

3.2.3. Area di lavoro 3: attività di pastorale familiare

Sicuramente l’argomento famiglia è uno tra i più delicati in Uganda. In modo particolare il tema della violenza domestica è continuamente sottolineato e affrontato da più parti. Per quanto ci riguarda però non siamo riusciti ad inserirci in un percorso vero e proprio. Per ciò che ne sappiamo noi, esistono sostanzialmente dei ritiri rivolti o alle famiglie che si stanno preparando al matrimonio religioso o alle famiglie già sposate che vogliono approfondire alcune tematiche. Solitamente sono incontri di più giorni organizzati a vario livello (cappella, parrocchia, dinary, diocesi) in cui dei facilitatori formati appositamente conducono le riflessioni. Per quanto ci riguarda siamo stati chiamati ad intervenire più volte come “relatori”, a volte semplicemente per condividere la nostra esperienza di famiglia, a volte per approfondire una tematica.

Inoltre abbiamo in parte contribuito alla modifica di un testo che viene normalmente usato durante gli incontri per le coppie.

Altre difficoltà che abbiamo incontrato nell’inserirci in percorsi che prevedono incontri più formali sono la lingua e il fatto che la nostra presenza si trasforma sempre in un’occasione straordinaria che modifica l’andamento degli incontri focalizzando l’attenzione su di noi e non permettendoci quindi di entrare veramente nella normalità degli incontri.

Come si può intuire da quanto riportato, non ci siamo inseriti in un vero e proprio progetto di pastorale della famiglia. Quello su cui abbiamo in parte lavorato e su cui continueremo a lavorare è la formazione di piccoli gruppi di famiglie che si incontrano regolarmente (es. una volta al mese) condividendo delle riflessioni sulla Parola partendo dalla propria quotidianità di famiglia. Per ora, ciò che stiamo cercando di fare è una condivisione nell’informalità e in modo non strutturato. Stiamo cercando semplicemente di comportarci il meglio possibile (per quanto ne siamo capaci) sperando che questo faccia interrogare mogli e mariti su alcune tematiche legate soprattutto alla parità di diritti e doveri dei coniugi nella coppia e nel ruolo dei figli nella famiglia.

3.3. Relazioni con la famiglia comboniana

Il rapporto vissuto in questo anno e mezzo con la famiglia comboniana si può considerare articolato su più livelli:

• fare comunità con Caterina;

• avere momenti di condivisione e riflessione con gli altri membri della famiglia comboniana;

• conoscere e raccontarsi con gli altri LMC presenti sul territorio ugandese;

• continuare a fare gruppo di sostegno (non solo economico, anzi!) con i LMC in Italia.

Fino ad ottobre scorso, abbiamo avuto la possibilità di fare comunità con Caterina, altra laica missionaria comboniana che era presente ad Aber dall’agosto 2009. Per noi la sua presenza è stata molto importante sotto diversi punti di vista. Come prima cosa ha agevolato il nostro inserimento in questa realtà. Non essendo presente nessun altro espatriato (né laico, né padre, né suora) è stata lei l’unica persona che ci ha aiutato a comprendere un po’ meglio le dinamiche locali ed inserirci nella quotidianità. Inoltre abbiamo condiviso le gioie e le difficoltà dell’essere famiglia ad Aber sostenendoci a vicenda con i figli e lottando fianco a fianco nel complicato procedimento per ottenere l’adozione. Spronandoci a vicenda siamo infine riusciti a ritagliarci un momento fisso durante la settimana in cui fare una preghiera insieme e condividere ciò che vivevamo alla luce della preghiera proposta dal gruppo di LMC di Venegono.

Da quando siamo arrivati abbiamo cercato di tenere un appuntamento fisso di condivisone e preghiera con gli altri membri della famiglia comboniana presenti nella diocesi di Lira. Fortunatamente sul territorio diocesano sono presenti tutte le espressioni della vocazione comboniana: missionari, missionarie, secolari e laici. Con cadenza bimestrale (più o meno) riusciamo a trovarci cambiando di volta in volta il posto così da conoscere meglio le varie realtà in cui siamo inseriti. L’incontro si svolge solitamente il venerdì pomeriggio e prevede un momento in cui viene proposto un approfondimento su un certo tema, successivamente c’è la possibilità di fare un po’ di deserto a cui segue una mezz’oretta circa di condivisione libera. Al termine, mentre ci si ristora con una merenda, a turno è possibile confessarsi. L’incontro termina con la celebrazione dell’Eucarestia. Anche se relativamente breve e non molto frequente, è comunque un momento per noi molto importante in cui si respira un senso di appartenenza ad un progetto comune declinato in modo differente a seconda delle vocazioni e dei posti in cui si è stati chiamati.

Un altro tipo di rapporto con la famiglia comboniana è quello che si sta cercando di costruire a livello nazionale tra i laici comboniani che operano sul territorio ugandese. Pur essendo difficile incontrarsi spesso e quindi conoscersi e condividere in profondità è comunque bello trovarsi una volta all’anno e raccontarsi un po’ il proprio vissuto, riflettendo su come il carisma comboniano condiziona il nostro vivere quotidiano e su come orienta il nostro operare.

Il rapporto con la famiglia comboniana che sentiamo comunque come più importante è il rapporto con i laici comboniani italiani e in modo particolare con quelli del gruppo di Venegono Superiore. Pur essendo un rapporto a distanza, è fondamentale per noi il sostegno che hanno continuato a darci per tutto questo primo periodo. Oltre al supporto economico (senza il quale non avremmo potuto portare avanti il nostro progetto) è stata molto importante la vicinanza soprattutto nei momenti di solitudine in cui ci sentivamo un po’ persi. La condivisione e la collaborazione sono state reciproche: noi condividevamo il nostro vissuto e loro il cammino che stanno portando avanti come gruppo. Noi mandavamo materiale da qui e loro lo usavano per fare attività di animazione missionaria.

Per questa ragione ci sentiamo di ribadire ancora una volta l’importanza per un laico partente di essere inserito in un gruppo con cui condivide un cammino che deve iniziare prima della partenza e che potrà andare avanti dopo il ritorno.

4. Conclusioni

In conclusione si può dire che la realtà di questo primo anno e mezzo di progetto ci ha messo di fronte ad alcune difficoltà e ad alcune paure che già ci aspettavamo e ad altre che, invece, ci hanno richiesto (e ci richiederanno nella seconda metà di permanenza) un cambiamento di rotta o, quanto meno, un riposizionamento degli obiettivi e una rivalutazione delle strategie per raggiungerli.

Nello specifico, per quanto riguarda le nostre professioni, credo che abbiamo raggiunto un buon grado di inserimento e di collaborazione con il personale locale (pur rimanendo diversità di vedute su alcuni aspetti). Sicuramente la cosa più importante sarà continuare a trasmettere l’idea che i nostri lavori sono prima di tutto dei servizi a disposizione di chi ne ha bisogno e che quindi lo spirito con cui vanno portati avanti è soprattutto uno spirito, appunto, di servizio.

Per quanto riguarda invece le altre attività cercheremo di far tesoro di quanto appreso in questo periodo, cercando di orientarle tenendo presente le strutture e le modalità radicate in questa realtà. In modo particolare, cercheremo di usare la struttura più radicata e più capillare che è quella delle Small Christian Communities.

Obiettivi prioritari saranno inoltre mettere in mano della gente locale qualunque tipo di attività si cercherà di portare avanti e cercare di mettere in rete la piccola realtà di Aber con quanto avviene sul territorio diocesano e nazionale.

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