Pellegrini di giustizia in Palestina

Agrigento | 14 Set 2011

Agrigento, 9 settembre 2011

Viaggiano veloci sulle autostrade di Israele i pullman carichi di pellegrini in visita dei Luoghi Santi. Anche noi, Pellegrini di Giustizia, grazie al Movimento Cattolico Internazionale per la Pace “Pax Christi”, viaggiamo per conoscere la Terra Santa, ma anche per incontrare persone e vedere luoghi normalmente al di fuori dei comuni tour. Eccolo il muro alto e grigio costruito dagli israeliani, i check-point, i divieti imposti ai milioni di persone che vivono nei territori occupati, ma ecco anche la speranza, il coraggio della resistenza pacifica, la dignità del popolo di Palestina.

Fatma abita a Betlemme e la sua casa è cinta dal “muro”, che isola l’edificio circondandolo in una morsa soffocante, non c’è angolo da cui non si scorga. “Più di una volta è successo che i militari israeliani ci svegliassero in piena notte sfondando la porta d’entrata – racconta Fatma – poi ci richiudevano in una stanza mentre loro mettevano tutto a soqquadro”. Anna è nata a Roma e per amore si è trasferita a Betlemme, vedova. Il marito Abdul, colto da malore, non ha potuto ricevere le cure necessarie a causa della lunga attesa al check-point. Ahmed è un giovane di Hebron che ci accompagna per le vie della rumorosa e caotica cittadina, che a primo impatto appare frenetica, in cui le voci dei venditori nel suq si mescolano ai clacson delle auto, dove si avverte forte il profumo di spezie, che pulsa. Nel cuore della città un check-point divide Hebron in H1, la parte palestinese, e H2, l’insediamento dei coloni israeliani. Da quest’ultima parte le strade sono deserte, i negozi forzatamente sigillati, nessun odore, nessun rumore. Nel cuore di Hebron non c’è più vita. At-Tuwani è un villaggio a sud di Hebron dove abitano circa 300 persone. Vicina c’è la colonia ebraica di Ma’on, insediatasi su terreni dei palestinesi. Gli attacchi dei coloni ebrei nazional-sionisti ai palestinesi non si limitano all’abbattimento di piante di ulivo, all’avvelenamento dei greggi di pecore, dei terreni coltivati e della cisterna dell’acqua, all’aggressione dei pastori mentre sono al pascolo, ma arrivano fino all’aggressione fisica dei bambini che dai villaggi vicini ogni giorno si recano a piedi alla scuola di At-Tuwani. La scelta del villaggio è di reagire in modo nonviolento a questi soprusi: se una loro casa viene abbattuta, la si ricostruisce, se un pastore viene aggredito nei campi, il giorno dopo ritorna accompagnato da altre persone, se la strada viene chiusa con la posa di blocchi di pietra, le persone si riuniscono per rimuoverle. I giovani volontari dell’Operazione Colomba condividono la vita quotidiana con la gente del villaggio e svolgono il ruolo di osservatori internazionali. Ad Aboud, villaggio di 1200 abitanti a nord-est di Ramallah, il muro si trasforma in chilometri di filo spinato ma non perde la sua essenza disumana. Ma, come accade in altri territori di questa terra, non separa solo israeliani da palestinesi, qui ad Aboud separa i palestinesi dalle loro scuole e dai loro campi. A Betania, quartiere di Gerusalemme, nel 2004 il muro è entrato nella casa delle Suore Comboniane tagliando fuori i bambini palestinesi che frequentavano la relativa scuola, divenuta dunque una fortezza inespugnabile.

Avremmo ancora tanto altro da raccontare su ciò che abbiamo visto e sentito dal 24 agosto all’1 settembre scorsi: delle bypass road, comode strade dove possono andare solo le auto munite di targhe gialle, israeliane, che evitano di attraversare gli abitati palestinesi, degli altri incontri, delle famiglie che ci hanno ospitati e della loro vita, dei luoghi santi, ecc. Vogliamo solo ricordare padre Manuel, parroco a Gaza, una striscia di terra martoriata, per il quale “è giunto il momento che il mondo imponga una pace concreta, fatta di giustizia, verità, perdono”, la basilica della natività, luogo di intensa suggestione e del Gesù vivente, venuto per abitare e condividere l’esperienza umana, dei tanti bambini che abbiamo incontrato, della donna beduina che vegliava il suo piccolo di qualche giorno di vita e che con un gesto semplice ci ha fatto conoscere più di tante parole e ci ha testimoniato che «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20).

Anna Rita e Angelo Piraneo

laici missionari comboniani Agrigento

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