Incontro 27 febbraio 2011

Venegono Superiore | 16 Mar 2011

Memoria degli incontri di dicembre e gennaio: il nome di Dio

Ambientazione: un tappeto di terra, una candela a simboleggiare il roveto ardente.

Durante la lettura di quanto segue verranno piantati nella terra i cartellini dei tre nomi di Dio incontrati: El Shaddai, El Roi, Jahvè.

A dicembre con le Matriarche e i Patriarchi, abbiamo visto la figura di un Dio che accompagna i clan durante le loro migrazioni e li benedice con il dono di nuovi pascoli, che sono la vita per le greggi e quindi per il clan stesso. Dio/vita/clan sono un trinomio inscindibile.

Quando Abram ebbe novantanove anni, il Signore gli apparve e gli disse: “Io sono Dio l’Onnipotente: cammina davanti a me e sii integro. Porrò la mia alleanza tra me e te e ti renderò molto, molto numeroso”. Subito Abram si prostrò con il viso a terra e Dio parlò con lui: “Quanto a me, ecco, la mia alleanza è con te: diventerai padre di una moltitudine di nazioni. Non ti chiamerai più Abram, ma ti chiamerai Abramo, perché padre di una moltitudine di nazioni ti renderò. E ti renderò molto, molto fecondo; ti farò diventare nazioni e da te usciranno dei re. Stabilirò la mia alleanza con te e con la tua discendenza dopo di te, di generazione in generazione, come alleanza perenne, per essere il Dio tuo e della tua discendenza dopo di te. La terra dove sei forestiero, tutta la terra di Canaan, la darò in possesso per sempre a te e alla tua discendenza dopo di te; sarò il loro Dio”. (Gen 17,1-8)

Questo Dio è chiamato El Shaddai, che significa onnipotente, ma anche altura, seno. Il Dio dei clan nomadi è onnipotente, ma allo stesso tempo, un Dio che nutre.

In questo nome, gli attributi divini di potenza e di tenerezza sono riuniti. Traduce l’immagine di un padre e di una madre, esercitando l’autorità e allo stesso tempo tenerezza in un equilibrio perfetto. El Shaddai possiamo riassumerlo in queste parole: onnipotente, nutre, sazia, pieno di autorità e di bontà.

Con Agar è anche il Dio dell’ultimo, di chi piange e grida. Agar fugge dalla propria padrona. Mentre è seduta ad una fonte nel deserto le viene incontro l’angelo del Signore:

e le disse: “Agar, schiava di Sarài, da dove vieni e dove vai?”. Rispose: “Fuggo dalla presenza della mia padrona Sarài”. Le disse l’angelo del Signore: “Ritorna dalla tua padrona e restale sottomessa”. Le disse ancora l’angelo del Signore: “Moltiplicherò la tua discendenza e non si potrà contarla, tanto sarà numerosa”. Soggiunse poi l’angelo del Signore:

“Ecco, sei incinta: partorirai un figlio e lo chiamerai Ismaele,

perché il Signore ha udito il tuo lamento.

Egli sarà come un asino selvatico;

la sua mano sarà contro tutti

e la mano di tutti contro di lui,

e abiterà di fronte a tutti i suoi fratelli”.

Agar, al Signore che le aveva parlato, diede questo nome: “Tu sei il Dio della visione”, perché diceva: “Non ho forse visto qui colui che mi vede?”. (Gen 16,8-13)

Agar è così in grado di sopportare meglio una situazione opprimente, perché in sé porta una promessa. Conosce la propria dignità: diventerà la madre di una numerosa discendenza, suo figlio avrà una vita piena. Agar chiama Dio “El Roi” (Tu sei il Dio della visione).

A gennaio ci siamo fermati sulla situazione di oppressione in cui si trova il popolo in Egitto. Il popolo viene progressivamente privato dei propri averi, dei propri animali, della propria terra ed infine della sua stessa vita.

Chi ha il potere inganna, approfitta di chi è in difficoltà, depreda.

Poi Giuseppe disse al popolo: “Vedete, io ho acquistato oggi per il faraone voi e il vostro terreno. Eccovi il seme: seminate il terreno. Ma quando vi sarà il raccolto, voi ne darete un quinto al faraone e quattro parti saranno vostre, per la semina dei campi, per il nutrimento vostro e di quelli di casa vostra e per il nutrimento dei vostri bambini”. Gli risposero: “Ci hai salvato la vita! Ci sia solo concesso di trovare grazia agli occhi del mio signore e saremo servi del faraone!”. (Gen 47,23-25)

Abbiamo trovato figure di donne che hanno saputo resistere e riconoscere Dio come il Dio della vita. Invece di obbedire al comando di morte del Faraone hanno scelto la vita.

Il re d’Egitto disse alle levatrici degli Ebrei, delle quali una si chiamava Sifra e l’altra Pua: “Quando assistete le donne ebree durante il parto, osservate bene tra le due pietre: se è un maschio, fatelo morire; se è una femmina, potrà vivere”. Ma le levatrici temettero Dio: non fecero come aveva loro ordinato il re d’Egitto e lasciarono vivere i bambini. (Es 1,15-17)

Infine abbiamo incontrato Mosè. Abbiamo visto che il popolo vive un’esperienza nuova di Dio: presenza che libera. A Dio non gli basta più di accompagnare il clan nelle sue migrazioni, ma si compromette con quanti sono oppressi per liberarli.

Questa nuova esperienza di Dio la esprimono in un nuovo nome: Jahvè.

YaHWeH ci parla del Dio della redenzione che interviene direttamente per salvare l’uomo e avere comunione con lui.

“Io sono” è la risposta che Dio diede a Mosè quando quest’ultimo resistette all’appello che gli era stato confidato: liberare i figli d’Israele schiavi in Egitto. Mosè dubitava delle proprie capacità e domandò a Dio in virtù di quale autorità doveva agire. Dio gli rispose rivelando l’autorità del suo Essere: “Io sono colui che sono!”.

Esodo ci mostra che Abramo, Isacco e Giacobbe stessi, i discendenti d’Israele, conoscevano Dio solo come El Shaddai, il Dio onnipotente e dell’abbondanza. Non si era ancora rivelato come il grande “Io sono”. Ma con Mosè Dio comincia a svelarsi come un essere personale che desidera la relazione.

Mentre Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l’Oreb. L’angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco dal mezzo di un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva per il fuoco, ma quel roveto non si consumava. Mosè pensò: “Voglio avvicinarmi a osservare questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?”. Il Signore vide che si era avvicinato per guardare; Dio gridò a lui dal roveto: “Mosè, Mosè!”. Rispose: “Eccomi!”. Riprese: “Non avvicinarti oltre! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo!”. E disse: “Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe”. Mosè allora si coprì il volto, perché aveva paura di guardare verso Dio. (Es 3,1-6)

Questa terra è il nuovo luogo di Dio. Dio sta dove tu sei adesso. È vicino nel luogo in cui stanno i tuoi piedi, nel luogo del conflitto, del confronto, della resistenza, nella terra.

Qual è questo suolo sacro per Mosè?

Qual è questo suolo sacro per noi?

Condivisione. Al termine di ogni condivisione ognuno lascerà la propria impronta sulla terra.

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