MARTA E MARIA
SCANDOLA E GRIGOLINI
Canto
Salmo 86: Canto del servo angosciato (Turoldo)
Tendi
l’orecchio, o Dio, e rispondimi
perché
io sono povero e misero,
preserva
la mia vita
perché
io sono fedele:
mio
Dio, salva il tuo servo
che
tutto in te si abbandona.
O
mio Signore, pietà di me:
così
per l’intero giorno vado gemendo.
Fa’
lieta l’anima del servo tuo,
quest’anima
che a te protendo, Signore.
Perché
tu sei buono e indulgente
e
clementissimo
con
quanti innalzano a te i loro gridi.
Porgi
l’orecchio, Dio, alla mia preghiera,
sii
attento alla voce delle mie suppliche.
In
questo giorno di mia angoscia
a
te grido perché mi risponda.
Nessuno
fra tutti gli dèi
è
pari a te, Signore,
nessuno
eguaglia ciò che tu fai.
Tutte
le genti son tue creature e verranno
a
prosternarsi davanti a te, Signore:
gloria
renderanno al tuo nome!
Perché
grande tu sei,
o
prodigioso, o solitario Iddio.
Iddio,
la tua via insegnami:
che
io cammini nella tua verità.
Riversami
gioia nel cuore
perché
io tema il tuo nome.
Con
tutto il cuore, mio Dio e Signore,
comporrò
canti e laudi
a
gloria del tuo nome per sempre.
Perché
grande è la tua fedeltà verso di me:
tu
dal profondo degli inferi
l’anima
mia hai fatto risalire.
Dio,
gente arrogante
si
è levata contro di me:
bande
di violenti mi attentano la mia vita,
gente
che non ti tiene di certo
davanti
ai suoi occhi.
Ma
tu, Signore, Dio di clemenza e pietà,
lento
all’ira
e
infinitamente fedele e verace:
volgiti
a me e abbi pietà,
al
tuo servo infondi la stessa tua forza,
salva
il figlio della tua ancella.
Dammi un segno del bene che mi vuoi
e lo vedano sgomenti i nemici:
vedano tutti che mi hai soccorso,
che mi hai consolato, mio Dio.
Salmo 23: Il Signore è il mio pastore (Turoldo)
Il
Signore è il mio pastore:
nulla
manca ad ogni attesa,
in
verdissimi prati mi pasce,
mi
disseta a placide acque.
È
il ristoro dell’anima mia,
in
sentieri diritti mi guida
per
amore del santo suo nome,
dietro
lui mi sento sicuro.
Pur
se andassi per valle oscura
non
avrò a temere alcun male:
perché
sempre mi sei vicino,
mi
sostegni con il tuo vincastro.
Quale
mensa per me tu prepari
sotto
gli occhi dei miei nemici!
Del
tuo olio profumi il mio capo,
il
mio calice è colmo di ebrezza!
Bontà e grazia mi sono compagne
quanto dura il mio cammino:
io starò nella casa di Dio
lungo tutto il migrare dei giorni.
Vangelo (Marta e Maria)
Mentre era in cammino con i suoi discepoli Gesù entrò in un villaggio e una donna che si chiamava Marta lo ospitò in casa sua.
Marta si mise subito a preparare per loro, ed era molto affaccendata. Sua sorella invece, che si chiamava Maria, si era seduta ai piedi del Signore e stava ad ascoltare quel che diceva.
Allora Marta si fece avanti e disse: “Signore, non vedi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille di aiutarmi!”.
Ma il Signore le rispose: “Marta, Marta, tu ti affanni e ti preoccupi di troppe cose! Una sola cosa è necessaria. Maria ha scelto la parte migliore e nessuno gliela porterà via”.
Commento
Marta e Maria nella vita di Gesù; Teresa Grigolini e Maria Giuseppa Scandola nella vita del Comboni.
Due storie di vita, vissute in modo diverso ma entrambe per un unico progetto, il piano del Comboni.
Tutte e due, nonostante caratteri e attitudini diversi, sono unite sul binario della fede dove preghiera e “fare” contribuiscono al piano di rigenerazione.
Maria Giuseppa Scandola
Giuseppa
Scandola nasce a Bosco Chiesanuova il 26 gennaio 1849 da agricoltori
con una fede ben radicata. Terza di quattro figli.
Maggio
1871: a Erbezzo si parla di apparizioni della Madonna. La gente si
accalca e, suggestionata da giochi di luce, dice di vedere la
Madonna. Giuseppa resta immobile, il suo comportamento è notato da
un uomo – Comboni – mandato dalla curia. Poco dopo con abiti da
sacerdote parla alla giovane della missione.
17
gennaio 1872: Giuseppa con la mamma va a Verona per prendere accordi
sul viaggio in missione; e lì rimane con grembiule e zoccoli.
Era
la seconda donna che entrava nell’Istituto delle Pie Madri della
Nigrizia, preceduta da Maria Caspi.
Comboni
acquista parte di Santa Maria in Organo.
Comboni
parte.
Il primo
periodo in istituto è duro, la formazione è nelle mani di Pia
Galli, ma la scelta è sbagliata. Le giovani devono essere a sua
disposizione, sono umiliate, fanno lavori pesanti, devono essere
sempre disponibili anche per i servizi personali talora bizzarri.
Marietta Scandola ha accettato la croce e la porta con amore. Cambia
educatrice, entra Maria Bollezzoli e la situazione migliora.
Il
15 marzo 1877 Scandola fa la sua professione con le altre suore. Il
piccolo gruppo era pronto per la partenza, destinazione Africa.
Viaggio lungo e sofferto. Arrivano ad Alessandria d’Egitto, poi al
Cairo e navigando sul Nilo ad Assuan. Poi il deserto. Tre mesi di
viaggio. Sosta a Berber, dove le suore si prendono cura delle donne
locali. Ai loro occhi imbarcazioni di schiavi. La missione chiude e
si spostano a Khartoum. Altro lungo e faticoso viaggio. Scandola e
Grigolini, senza sicurezze e con tanta dedizione, seguono l’invito
del vangelo. Trovano epidemie e carestie. Sr. Giuseppa si segnala per
carità, preghiera, si occupa dei piccoli: gli ammalati e le schiave.
Comboni dice: “Suor Maria Giuseppa è la suora più santa che
abbiamo… una vera santa”.
Grigolini
dice: “Suor Giuseppa lavora da mane a sera e fa per tre suore.
Sempre allegra e contenta. È un’anima santa, lo dico senza
esagerare. Io con questa suora sola andrei in capo al mondo”.
10
ottobre 1881: muore Comboni assistito dalla Scandola che non
dimenticherà più le sue ultime parole: “Io muoio, ma la mia opera
non morirà”.
Grigolini
è destinata a El Obeid. Tutto è pronto per la partenza, ma lei è
in cappella in lacrime. Suor Teresa Grigolini pensa che pianga per la
sua partenza, ma Giuseppa risponde: “Cosa vedo io nel Kordofan? Che
gran temporale, che nuvoloni oscuri, che fragore di tuoni, o Dio e
che spavento! Che cosa avverrà nel Kordofan? Cosa ne sarà?”.
Grigolini sorpresa non trova risposta. Suor Giuseppa prevede qualcosa
di grave che di lì a poco si avvererà.
Un
gruppo di uomini guidati da Muhammad Ahmad – proclamatosi Mahdi –
insorge per formare un nuovo regno musulmano. Le missioni vengono
distrutte. Alcune suore muoiono, altre sono fatte prigioniere;
scappano di continuo. Suor Giuseppa è sempre con la gente; condivide
gli stenti, la fame, i disagi, la scarsità di acqua e di pane. La
forza che la sostiene è la sua profonda comunione con Dio nel quale
ripone tutta la sua fiducia. Si distingue per bontà e carità; pensa
ai prigionieri. Soffre e prega per la liberazione. Soffre per Teresa
Grigolini che ha dovuto sposarsi con un prigioniero per salvare le
altre suore.
Nuova
missione a Gesira. Scandola si dedica instancabilmente. Muore la
provinciale e Scandola la sostituisce. Dedica tempo al dispensario e
ai malati; la sua bontà e la sua pazienza
si riversa sui piccoli. La sua fede le fa scoprire Dio in ogni uomo.
Con semplicità e intuizione esprime la carità a tutti e testimonia
Cristo. Con l’annuncio diretto del vangelo coglie ogni opportunità
per parlare di lui. È una vedetta nel vedere chi ha bisogno per
gridare a tutti che Cristo è il Signore.
Entra
nelle zone dell’Africa Centrale. Dopo sedici anni termina la guerra
del Mahdi. Voleva andare sempre più avanti, spendersi per la
Nigrizia fino alla morte. Va a Lul come responsabile della prima
comunità di suore in quella zona. Parte al soffio dello Spirito di
fuoco degli apostoli per annunciare Cristo morto e risorto.
Traboccante di gioia, si lascia invadere da quell’impeto che la
spinge lontano immergendola come all’inizio nella preghiera, nel
lavoro e nel pianto. Arrivata alla missione sorprende p. Guglielmo
perché si aspettava una suora giovane, istruita, capace di imparare
la lingua. Sr. Giuseppa, umiliata, incassa e sorride ma non si
scoraggia. Sr. Giuseppa ha realizzato un sogno: arrivare al cuore
della Nigrizia con semplicità e naturalezza. Si affida a Dio per
partire in questo nuovo compito. Non si scoraggia, studia la lingua.
L’amore per la missione la sollecitano ad impegnarsi. Dice: “Altri
sacrifici”, e soffre di non poter aiutare quanto vorrebbe. Presenza
attenta alla vita, sensibile alle necessità, infonde serenità, dà
fiducia e coraggio a tutti senza far pesare i suoi disagi. A Lul si
trova sola a soffrire; è in difficoltà ma affronta la prova in
silenzio affidandosi a Dio. I missionari che sono con lei scoprono i
tre aspetti di sr. Giuseppa: preghiera ininterrotta, instancabile
attività e dolcezza di tatto.
Agosto
1903: sr. Giuseppa non sta bene e contemporaneamente un padre della
missione si ammala gravemente. Sr. Giuseppa manda a dire che il padre
non morirà perché ha tante cose da fare in missione; sarebbe morta
lei al suo posto. Le sue parole si avverano. Ha offerto la sua vita
per la missione, muore.
Teresa Grigolini
Compiuti
i 21 anni, nel gennaio 1874 segue l’invito del Comboni ad essere
con lui missionaria nel cuore dell’Africa. Comboni era amico del
padre, Lorenzo. Teresa conosceva la storia del Vicario dell’Africa
Centrale e sapeva che considerava “indispensabile” per la
riuscita del suo progetto la presenza e il ministero della “donna
del vangelo e della suora di carità”.
Teresa
entra nell’Istituto delle Pie Madri della Nigrizia. Comboni diceva
di Teresa “giovane nobile e generosa, formata in modo tale da
essere paragonata alle donne del vangelo”. Intendeva la donna
ideale per la missione. Diceva Comboni: “È il primo e compiuto
soggetto della Congregazione: testa, carità, pietà, capacità
distinta”.
Ricoprì
la carica di superiora provinciale in Africa fino a quando la
rivoluzione mahdista non travolse persone e istituzioni. Sr. Teresa
seppe assolvere bene il suo compito. Intuitiva, affettuosa, gentile,
intelligente, decisa e generosa, naturalmente dotata. Comboni aveva
colto qualcosa di più.
Le
suore amano Teresa come una madre. Le 5 donne si amano come sorelle,
si aiutano: “i loro interessi sono gli interessi di Dio” che sono
interessi della missione.
La
storia di Teresa è drammatica e sconosciuta.
Il
sacrificio di questa missionaria ha implicato non solo la fine della
sua vocazione religiosa ma anche di ogni speranza umana. Drammi come
il suo si sono ripetuti tante volte nella storia. Se ne parla poco,
si tratta di situazioni difficili specialmente quando la violenza dà
origine a un figlio, evento che obbliga la suora a rinunciare alla
sua vocazione.
Teresa
condivide il sogno di Comboni. Nel 1875 lo segue nel Sudan, in luoghi
inospitali per clima e povertà, con tanta passione e competenza
tanto da essere considerata “modello della vera suora missionaria”.
Lettere di missionari comboniani che collaboravano con lei dicono:
“Essa è l’anima di tutte: quando lei manca, manca tutto. È
portatrice di gioia, di coraggio, e guai a noi se il Signore la
prendesse con sé”.
Teresa
non muore di malattia, come tante coraggiose giovani che l’hanno
seguita, ma incontra un supplizio peggiore quando la missione viene
occupata dalle truppe vittoriose del Mahdi. Sarà costretta infatti a
vivere quasi 16 anni in prigionia, torturata da stenti e timori di
violenza, ma soprattutto dal dolore di sentirsi abbandonata dal clero
e dalla sua congregazione. Nelle memorie della prigionia scrive:
“Dico che peggio di così non può succedere al mondo”.
Si
organizzano matrimoni fittizi con alcuni greci, anch’essi
prigionieri ma, dopo sette anni in cui non nascono figli, diventa
improvvisamente necessario, per la salvezza di tutti, che almeno uno
dei matrimoni venga consumato e la nascita di un figlio lo provi.
Padre Ohrwalder decise che si doveva sacrificare proprio Teresa –
tutte erano state sciolte dai voti all’arrivo del Mahdi – con una
scelta poi contestata duramente, al momento del ritorno in Italia,
sia dalla Santa Sede che dalla famiglia Grigolini. Perché richiedere
questo drammatico strappo a una missionaria perfetta?
Teresa
ha avuto la forza di obbedire: “Confesso pure la mia miseria,
pensai che il Signore mi avesse fatto torto. Per un anno intero
piansi la mia disgrazia, ma più ancora il giorno della liberazione.
Tutti hanno trovato la loro liberazione: le suore al loro convento, e
tutti gli altri nelle proprie famiglie e ai loro paesi; per me sola
non ho potuto trovare né il mio convento né la mia famiglia, e fino
alla morte sarebbe durata la mia schiavitù”.
Si
tratta di un sacrificio, infatti, che implica non solo la fine della
sua vocazione religiosa, ma anche quella di ogni speranza: quando
l’arrivo degli inglesi liberò i prigionieri sopravvissuti, Teresa
rimase incatenata alla sua nuova condizione. Una catena reale, ma
anche affettiva: i figli nati dal matrimonio, infatti, creavano forti
legami con il suo nuovo stato di vita.
Ella
era perfettamente consapevole che la sua scelta non sarebbe stata
facilmente capita e approvata da chi in Italia viveva così lontano
dal crudele mondo africano. Disse: “Eccomi dunque, sola in mezzo a
quei barbari e tanto lontana da tutto il mondo, senza speranza di
uscire da quella bolgia infernale”. Ma anche allora metteva
confidenza in Dio che, domandandogli perdono, l’avrebbe
perdonata.
Anche
quando non ha più alcuna speranza negli esseri umani, riesce a
sperare e ad accettare la volontà incomprensibile di Dio, che le
impone di lasciare la vita religiosa che aveva scelto per amor suo:
ecco il sacrificio più grande che Teresa compie dentro il suo cuore.
E lo compie totalmente, senza riserve: lo testimonia il suo ritorno
alla casa maritale anche quando – tornata in Italia e accettata
dalla sua famiglia con i figli superstiti – potrebbe ristabilirsi
lì. Decide invece di assumere fino in fondo il suo destino tornando
a vivere con il marito a Omdurman e poi a El Obeid. Un marito
violento, che lei assisterà fino alla morte, dopo lunga malattia e
dopo averlo riportato alla fede. Solo a questo punto, finalmente
libera dalla sua croce, tornerà in Italia per vivere quasi nascosta
nella casa di un fratello prete, dal momento che la sua congregazione
si rifiutava di accoglierla.
Il
caso di Teresa rimane forse unico e misconosciuto esempio di una via
particolare al martirio. La sua profonda onestà davanti a Dio, che
la porta sempre a scegliere la via più difficile ma giusta, l’aiuta
anche ad affrontare chi tendeva a interpretare la sua scelta
matrimoniale coma una colpa.
Nel
suo memoriale, Teresa si assume tutte le responsabilità e fa capire
come la saldezza del suo rapporto con Dio le abbia dato quella pace e
quella sicurezza interiore che il mondo esterno le negava.
La
sua persona si è disintegrata, per lasciare emergere la nuova forma
che lo Spirito voleva darle.
Riflessione
Sia sr. Scandola che sr. Grigolini hanno fatto della loro vita un cammino per portare la Parola di Dio in luoghi irraggiungibili. La fede è stata la loro forza. Quanto la nostra fede è forte nella nostra vita? Quando ci scoraggiamo e non vediamo la luce nel buio del nostro cammino, siamo capaci di alimentarla e in che modo?
Le due suore nonostante provenienza e culture diverse, lontane fisicamente dal loro servizio in Africa, erano però unite nell’unico obbiettivo del Piano di rigenerazione dell’Africa. Anche noi nel nostro tempo e nei luoghi che frequentiamo possiamo essere testimoni come hanno fatto loro.
Leggendo la storia delle due suore sono emerse qualità del loro essere donne e testimoni di fede. Di seguito facciamo un elenco. Ognuno di noi può, riguardando se stesso, vedere quali di queste sono presenti nella propria vita. Disponibilità, adattamento, ricominciare, dedizione, andare, poche sicurezze, abbandonarsi a Dio e fiducia in lui, preghiera e agire, condividere le fatiche, semplicità e gioia.
Dice Comboni
L’opera della Suora nell’Africa Centrale è un sacerdozio. Là dove ci sono le suore c’è una missione solida.
La vita missionaria è un commento vivo alla Parola di Gesù “chi rimane in me e io in Lui porta abbondanti frutti”.
Nell’apostolato dell’Africa Centrale io il primo ho fatto concorrere l’onnipotente ministero della donna del Vangelo e della suora della Carità, che è lo scudo, la forza e la garanzia del ministero del missionario.
È il secolo della donna cattolica della quale la Provvidenza si serve come di veri preti… Esse sono braccio del ministero evangelico.