Condivisione di Federico e Ilaria – 5 settembre 2010


Lc 14,25-33

Siccome molta gente andava con lui, egli si voltò e disse: «Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo.

Chi di voi, volendo costruire una torre, non si siede prima a calcolarne la spesa, se ha i mezzi per portarla a compimento? Per evitare che, se getta le fondamenta e non può finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro. Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda un’ambasceria per la pace. Così chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo.

(Sapienza 9,13-18 – Salmo 89)

Il momento di preghiera in cui, come comunità, cerchiamo di riflettere sulle Letture della domenica successiva precede, come ogni settimana, la “riunione del lunedì”. Si tratta, questa, di una specie di maratona mattina-pomeriggio-sera in cui cerchiamo di aggiornarci sulle tante attività, progetti, incontri che avverranno nella settimana. A volte la stanchezza prende il sopravvento, i problemi sembrano irrisolvibili e la scaletta che Dario ogni settimana prepara sembra destinata a non esaurirsi mai.

La lettura dal libro della Sapienza sembra volerci accompagnare in questi momenti di stanchezza. Sentiamo il richiamo a tenere presente che l’unico vero progetto è quello di Dio, che ci è sconosciuto, che spesso non vediamo e non capiamo. Abbiamo bisogno di pregare e chiedere Sapienza per riuscire a programmare la nostra vita tenendo i piedi per terra, senza farci prendere la mano dai nostri desideri, dai nostri sogni. Rimanendo fedeli al popolo che accompagniamo e alla croce che porta sulle sue spalle.

Ma se da un lato questo Vangelo sembra invitarci a pianificare con realismo, con saggezza (costruire solo quando si hanno mezzi sufficienti, partire per la battaglia con abbastanza uomini…) dall’altro ci pone, di forma quasi sorprendente, la sfida ad abbandonare tutto. Il progetto maggiore appare così l’attitudine al dono, all’accoglienza serena del progetto quotidiano di Dio.

Gesù ci invita a liberarci dall’ansia dell’iperattivismo, a smetterla di sentirci indispensabili (incluso nei confronti della nostra famiglia!) e aprire il nostro spirito, distaccandoci, non lasciandoci condizionare. Sentiamo l’invito ad ABRIR MÃO della nostra vita…

Non so se esiste in Italiano questa espressione (letteralmente aprire mano) né me ne viene in questo momento una traduzione efficace. Ma nel momento di riflessione comunitaria questa è stata sicuramente una delle espressioni più utilizzate. Sentiamo in questo brano un monito rispetto al senso di possesso, al sentirci padroni dei nostri legami affettivi, della nostra vita. “Aprire mano” rispetto alle nostre cose, distaccarci dalla nostra “roba” (che non è solo materiale, ma ancor più è il nostro pregiudizio, sono le nostre tante testardaggini, ostilità, il nostro senso di possesso dell’altro e dell’immagine che abbiamo di lui…). Questa è forse la strada attraverso cui possiamo avvicinarci un po’ di più alla sapienza della prima lettura, che “raddrizza i sentieri degli uomini sulla terra” e costruisce un mondo più giusto.

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