Sono andata nella terra delle aquile…

Agrigento | 04 Set 2015

Al rientro della nostra permanenza in Albania, non riuscivo a mettere in ordine tutte le emozioni vissute, neanche a lasciare le impressioni e i ringraziamenti per le motrat (“suore”) sul libro dove gli altri avevano scritto le sensazioni personali di quel luogo.
Sentivo tutto ovattato e gelatinoso, come se da una parte volessi ricordare, mentre dall’altra volevo cancellare la sofferenza provata nell’incontro con la donna, il bambino, l’uomo, profanati nella dignità di creature umane e divine. Anche a parlarne con gli altri mi sembrava quasi di violare l’intimità ferita di questo popolo.
Dal cuore pungenti lacrime stillano di dolore e di nostalgia per i volti conosciuti e lasciati, volti cari e segnati, volti coronati di fiero orgoglio per l’appartenenza ad un popolo di antiche tradizioni.
Albania, antica Illiria, ricca di cultura, di sentimento religioso. Shqipëri, che significa “Nido delle aquile”, dimenticata nella sua sudditanza turca, soffocata dalle mire degli stranieri e infine stritolata dalla dittatura. Uomini e donne di alti valori spirituali e civili, vennero travolti e annientati nel corpo e nello spirito.
Visitare Scutari «…parte integrante dell’Albania, centro di antica cultura, di tradizioni, di solidarietà…» e scoprire le atrocità cui furono sottoposte migliaia di persone, civili e religiosi, musulmani e cristiani, in nome di un’ideologia comunista ed atea, che mirava a togliere l’identità storica, religiosa e umana di un popolo.
Entrare in quelle celle umide, strette, buie, e nel silenzio sembrare di udire i gemiti di afflizione, le grida per le torture, la voce fioca ma sicura della vergine martire Maria Tuci che, dilaniata dai suoi aguzzini, mai abiurerà e resterà fedele al suo Dio.
Le Clarisse adesso risentono in quei luoghi, nel silenzio della preghiera, i sospiri pesanti di quelle vite purganti e, togliendo ciò che di claustrale doveva rimanere, si mostrano senza grate, coi loro volti sereni e pieni di Dio a chi cerca ascolto, conforto e sostegno.
Albania, terra rigogliosa di piante lussureggianti, con fiotti di fiumi che si adagiano su laghi rossi al tramonto, con piccoli villaggi intercalati come piccoli presepi, con le casettine dai comignoli sporgenti, i tetti spioventi e cadenti, le stalle fatiscenti e ogni tanto una villettina linda, ordinata che sembra uscire fuori da quel contesto misero, come una rosa altera in mezzo a umili margherite di campagna.
Strada, strade, cammino, incontri…

Ripenso al primo incontro con Rosa, donna dai fieri e sofferti tratti, dalle generose mani, dalla fede autentica, forte, eroica, che è sopravvissuta alle angherie dittatoriali, conservando nel buio della notte la sua tradizione cattolica e consolando nel corpo e nello spirito chi le tendeva la mano…
Tra le mani ho la maglia lavorata da Liliana, splendida mamma di Daniele, bimbo speciale ai suoi occhi e a quelli di Dio, ma imperfetto a quelli del mondo; la sua sensibile generosità la rende simile ad una pomelia profumata, pura e grata a Dio per la nuova vita di cristiana, novella perla preziosa.
E Paola, dolce Paola, dagli occhi grandi, enormi, pieni, pieni di gioia, di tristezza, di stupore, di amore; amore per mamma, per papà, per Giulio, anche lui bimbo speciale, amore per tutti, amore per Gesù, il suo Gesù che incontra appena può nella cappella delle care motrat.
E tu piccola Angirè? Cosa farai adesso? Ti immagino vicino alla fontana, col tuo sorriso disarmante, le tue ciocche dorate ribelli, la tua tristezza di adolescente cresciuta troppo in fretta, impaurita, ma coraggiosa nel difendere i tuoi diritti mancati. Indosso il tuo fermacapelli, tesoro della tua povera vita, tesoro per la mia ricca vita, tesoro che ci unisce, tesoro di vita.

E tutti i piccoli incontrati per la strada, gioiosi, cantilenanti, bimbi come tutti i bambini del mondo. Ma in particolare, ritornano prepotentemente alla mente i bimbi di Elbasan: passerotti cinguettanti che si avvicinavano a noi, prima timidi, e poi avvinghianti cercavano amore. Le care figlie di madre Teresa vigilano e danno il cuore, cercando di inventarsi per loro, le famiglie che essi non hanno mai avuto.
Famiglie… Le care famiglie conosciute, novelli cenacoli d’amore, crescenti chiese domestiche, raccolte e chiamate all’ovile del Regno dalle care sorelline del Vangelo: Silvia, Francesca, Margherita, Lidia, semplici ed umili primule del campo di Dio, infaticabili apostole, che con amore e abnegazione condividono la loro vita con la gente, per le case, per la strada, facendo della loro dimora la casa di tutti.
Ma è ora di partire, tutto è pronto, bagagli, cibo e acqua per il viaggio, solo il cuore non è preparato, resiste alla partenza, soffre in un angolo remoto; ma un cuore alato lo solleva, lo porta in alto e lo accompagna: apro gli occhi e vedo Ida, cara, dolce Ida che piangendo mi dice nel suo incerto italiano “arrivederci”. Faleminderit “grazie”.
Mirupafshim “arrivederci” cara amica, forte donna; grazie per il tuo abbraccio sincero, per la giovane e antica amicizia, per l’amicizia di due donne che si incontrano negli occhi, nello sguardo, l’amicizia del tempo delle donne, l’amicizia dell’eterno…
E mentre come gocce di rugiada le lacrime sgorgavano dagli occhi, la strada cominciava a dividere la nostre vite, ma non le nostre anime, che si incontrano in LUI al di là dello spazio, al di là del tempo.
Faleminderit e mirupafshim Shqipëri, nido delle aquile, nido di cuori.

Anna Rita

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.