Lo
scorso 3 ottobre, a poche miglia dall’isola di Lampedusa, 368
donne, uomini e bambini hanno perso la vita nel tentativo di
raggiungere l’Europa.
A
pochi giorni di distanza, nelle stesse acque, altre centinaia di
persone provenienti dalla Siria sono state inghiottite dal mare.
Sono
solo alcune tra le migliaia di vittime causate dalle frontiere
europee: circa ventimila negli ultimi venticinque anni.
Per dire no a tutto questo dal 31 gennaio al 2 febbraio 2014 ci siamo ritrovati sull’isola di Lampedusa per scrivere LA CARTA DI LAMPEDUSA: per un diritto, scritto dal basso. Un diritto alla vita che metta al primo posto le persone, la loro dignità, i loro desideri e le loro speranze; un diritto che nessuna istituzione oggi riesce a garantire, un diritto da difendere e conquistare, un diritto di tutti e per tutti.
Un diritto che nasce dalle rivendicazioni dei rifugiati accampati nelle piazze, dalle voci di donne e uomini che chiedono la libertà di muoversi o di restare dove hanno scelto di vivere, dalle mobilitazioni contro le espulsioni ed i respingimenti, dalle occupazioni delle case vuote mentre milioni di persone non hanno più un tetto, dalle lotte per il reddito, la dignità nel lavoro e contro lo schiavismo del caporalato, dalle iniziative di solidarietà e dalle pratiche di mutuo soccorso e cooperazione, dalla forzatura dei dispositivi giuridici dati, dai percorsi di contrasto alle discriminazioni ed al razzismo, dalle battaglie contro i centri di detenzione e confinamento e per dare corpo a nuovi diritti di cittadinanza più estesi e plurali, che cancellino ogni presupposto escludente che ha caratterizzato questo istituto negli ultimi decenni.
Nelle ore successive al naufragio una petizione ad hoc ha raccolto 50mila firme, e una volta lanciata l’idea della Carta, ecco fioccare centinaia di adesioni, da associazioni di promozione sociale così come religiose, da sindacati, da giuristi, da avvocati, dagli stessi rifugiati, da singoli individui, ma soprattutto abbiamo fin da subito sentito l’esigenza, dal basso, di allargare il processo di conoscenza e sensibilizzazione sul tema.
Decine
di movimenti e associazioni, reti ed organizzazioni, europee e
nordafricane, abbiamo lavorato insieme per incontrarci a Lampedusa e
cominciare da qui a riscrivere la storia dello spazio Mediterraneo e
oltre, iniziando dal rovesciamento dell’immagine di Lampedusa
spettacolarizzata come isola-confine.
La Carta di Lampedusa
risulta un documento di portata storica perché per la prima volta,
tramite un open
document
(un file in rete modificabile da chiunque avesse richiesto
l’iscrizione agli ideatori – Progetto Melting Pot Europa), si è
arrivati a proporre all’assemblea un documento che ha visto il
contributo di tutte/i, singoli e associazioni che hanno aderito al
percorso.
Arrivati
sull’isola i partecipanti all’incontro della Carta di Lampedusa
hanno voluto distribuire una lettera rivolta agli abitanti.
Un
modo per far capire che quando si parla di diritti questo è inteso
per tutti.
Anche
per chi questa isola la abita tutti i giorni e si scontra con
problemi e contraddizioni che troppe volte vengono volutamente
dimenticati,
sommersi
dal ruolo di frontiera a cui si vorrebbe condannare questo spazio di
mondo.
Non a caso si è voluto anticipare l’apertura dei
lavori, durante la mattinata di venerdì 31 gennaio, con un incontro
presso il liceo scientifico dell’isola per incontrare gli studenti
e continuare un dialogo reale a partire dalle nuove generazioni.
Sull’isola,
tra i tanti, è arrivato anche Samy che proviene da Amburgo.
È
uno dei profughi transitati dall’isola e che fa parte
dell’iniziativa “Lampedusa in Hamburg”. Samy ci racconta che
tornare a Lampedusa è stato come rivivere improvvisamente non solo
le sofferenze e i dolori ma anche l’inizio di un percorso di lotte
che li ha portati a fronteggiare le leggi ingiuste dell’Unione
europea, che insiste nel chiedere ad ogni essere umano un pezzo di
carta per poter esistere. Samy assicura che nessuna richiesta assurda
da parte delle autorità potrà fermare la loro battaglia per il
diritto alla dignità, una lotta determinata e risoluta, condotta da
350 rifugiati ad Amburgo e molte altre migliaia in altri paesi
europei.
L’assemblea,
per la stesura della Carta, ha visto come momento iniziale venerdì
31 gennaio ore 17.00 nella sala dell’aeroporto l’incontro “Da
Lampedusa all’Europa” a
cui hanno partecipato il sindaco Giusi Nicolini e i cittadini per far
conoscere la realtà dell’isola, le voci dei suoi abitanti, la vita
di un luogo condannato dalle politiche europee a vivere una vita di
frontiera.
Toccante è stato l’intervento delle mamme di
Lampedusa che, attraverso l’associazione di cui fanno parte,
testimoniano l’impegno quotidiano per il cambiamento dell’isola
affinché diventi un esempio di accoglienza e garanzia dei diritti
per tutte/i.
Scrivere
insieme LA CARTA DI LAMPEDUSA.
È
stato questo il senso vero di questi giorni sull’isola.
Un
patto costituente tra molti e diversi, un processo collettivo, uno
spazio comune che sarà responsabilità di ognuno preservare,
ciascuno con le sue pratiche e le sue modalità, un’occasione per
iniziare a capire collettivamente come costruire una geografia del
cambiamento che vada oltre i confini imposti dall’Europa per
trasformare questo manifesto in realtà.
E alla fine la Carta di
Lampedusa è stata scritta.
Si è trattato di un processo
difficile e complesso che è costato tanta fatica perché ha visto la
partecipazione attiva, vera e consensuale di tutte/i i presenti
all’assemblea di Lampedusa.
La
Carta di Lampedusa non è il fine di questo percorso ma uno
strumento.
Non
vuole rappresentare la volontà e ancora meno non può rappresentare
“I migranti”, ma vuole essere l’inizio di un percorso da
costruire insieme.
Non siamo il “movimento europeo”, noi
siamo coloro che hanno scelto di incontrarsi, condividere e costruire
un percorso.
Lasciamo Lampedusa, crocevia di popoli, culture e
religioni diverse, “terra di mezzo” nella certezza che insieme,
dal basso, possiamo costruire un’altra storia.
Tony
Scardamaglia
Laici
Missionari Comboniani
La
Zattera – Palermo