Insieme al telaio della vita


È il titolo che si è voluto dare all’Assemblea nazionale dei laici missionari comboniani, svoltasi dal 27 al 29 maggio a Firenze. Quest’anno erano presenti numerosi rappresentanti che venivano da diverse regioni d’Italia: dalla Sicilia alla Lombardia.

All’incontro hanno partecipato anche alcuni religiosi della famiglia comboniana: suore e padri missionari fra cui lo stesso superiore provinciale p. Corrado Masini. Per i laici erano presenti i rappresentanti dei gruppi di Palermo, Agrigento, Lecce, Bari, Torre Annunziata, Bologna, Modena, Venezia-Padova, Venegono, Pescara-Chieti e naturalmente Firenze. Ogni realtà si è raccontata e ha fatto conoscere la propria esperienza e il modo di essere, oggi, laici missionari comboniani. Ogni gruppo ha portato un pezzo di stoffa più o meno quadrata, delle dimensioni di cm 50×50, come espressione delle realtà di provenienza e come modo per raccontare le proprie esperienze.

Nel cucire insieme i pezzi è venuto fuori un mosaico di stoffe, colori, foto e disegni che esprimevano la diversità delle storie dei soggetti rappresentati, formando un patchwork che, anche se a un primo sguardo, distaccato e disattento, poteva sembrare mal intonato e disarmonico, raccontava, invece, la varietà, la policromia e l’armonia delle differenze che si legavano insieme perché cucito con un unico filo come metafora di una identità tessuta insieme all’interno della famiglia comboniana lì convocata.

Il saluto portato da p. Corrado ha espresso la necessità di una costante collaborazione tra religiosi e laici comboniani, motivando la decisione di istituire una commissione con lo scopo di animare le comunità religiose ed esortarle ad aprirsi al soffio di novità che viene dalle varie realtà presenti nel territorio nazionale.

L’Assemblea, grazie al contributo dei relatori intervenuti, ha manifestato la ricchezza dei contenuti che via via si sono dipanati a partire da p. Domenico Guarino, il quale ha puntualizzato il senso delle esperienze raccontate che hanno il precipuo scopo di aprire spazi di riflessione per generare consensi nello spirito di una confluenza. Ciò non per annullare quello che è stato fatto finora ma per aggiungere uno stile capace di creare un’identità che sia l’espressione di una sinergia di forze e contenuti che ogni realtà incarna. Come la struttura clericale può accompagnare un percorso laicale? È la domanda che ha posto p. Domenico. L’identità è per lui un percorso dinamico che parte da un consenso pastorale, carismatico e teologico, che fa della storia una centralità di fronte alla quale “azzittirci” per far parlare il Gesù vivo e presente nella storia, capace di muoverci dal di dentro. Ha espresso ancora l’importanza di una nuova spiritualità in cui saper riconoscere i simboli di una fede viva, che a volte le grandi tradizioni religiose non sanno trasmettere per cui diventa fondamentale poter distinguere la coppa del vino dal vino stesso, dove il vino è metafora di ciò che è importante, che ha sapore, che è essenziale e produce dinamismo e la coppa è simbolo, invece, di una staticità che può essere paralizzante. Il messaggio che proviene da questa fede viva – dice p. Domenico – non si può seppellire, ecco perché chi accompagna i laici comboniani dovrebbe muoversi in un contesto democratico, moderno e dinamico.

Altro contributo importante è stato dato dal prof. Carmelo Dotolo che raccogliendo la “grande ricchezza” delle narrazioni ha fatto emergere le fragilità e i punti di forza per poi fornire degli indicatori di un’identità in cammino. Partendo da ciò che ha raccolto dalle esperienze dei vari gruppi, ha fornito degli indicatori per far luce sull’intera realtà laicale dei comboniani.

Il primo indicatore ha fatto emergere il bisogno di capire come la missione oggi sia modificata ed esiga degli itinerari nuovi come per esempio, secondo una prospettiva laica, il bisogno di vivere uno stile di vita adeguato alla missione, mettendo come forma prioritaria di vita la comunità-famiglia, meta verso cui dirigersi, dove dare spazio ad una diversificazione di ministeri.

Il secondo grande indicatore ha messo in luce il bisogno di una spiritualità critica e intelligente che ponga al centro l’ascolto della Parola, condensata nell’esperienza biblica, ascolto che sia anche in grado di darci le chiavi di lettura per cambiare la storia e l’esistenza stessa. Questa spiritualità deve porre al centro, soprattutto, Gesù di Nazareth. Un punto fondamentale rilevato dal prof. Dotolo e che mostra, forse, un punto di debolezza, è emerso da una parola chiave venuta fuori più volte firenzenell’esprimere la necessità di autonomia nella ricerca identitaria che in alcuni momenti è legata a qualche forma di collaborazione. Questa ricerca – sostiene il prof. Dotolo – non può essere slegata da chi ci ha indicato un cammino missionario: la famiglia comboniana.

Dalla sua analisi, ancora, il prof. Dotolo ha individuato un punto di forza tipicamente comboniano che è emerso dalle parole: pace, giustizia, salvaguardia del creato, da cui nasce la necessità di puntare ad un’identità sempre più dinamica e aperta che richiede nuove forme di servizio. Da questa analisi si evince, anche, la chiara percezione di una realtà ecclesiale con cui attualmente non c’è un grande feeling, ma tuttavia, per creare alternative e resistenze al sistema – dice Dotolo – bisogna essere dentro il sistema, che non significa piegarsi ad esso, e per questo abbiamo bisogno di una famiglia comboniana che sia espressione di “qualcos’altro”.

Siamo chiamati, egli dice, a diventare “agenti culturali” dando alla fede un ruolo primario perché come afferma Paolo VI: «Quando la fede non entra nelle dinamiche culturali diventa misticismo e spiritualismo», per cui è indispensabile costruire “ponti culturali” soprattutto quando le culture altre entrano nel nostro mondo. A questo proposito scorge la necessità di costruire un’identità basata sul consenso teologico, pastorale e carismatico per rivisitare anche la nostra idea di missione.

Il laicato nella sua dimensione cristiana deve – per Dotolo – assumere un ruolo importante nella ricerca dell’identità perché rappresenta la dimensione etica e spirituale dell’esistenza. Essa deve legarsi ad un principio di conoscenza nel senso del dover acquisire uno sguardo critico e aperto nel guardare i segni dei tempi, essere capace di mettersi in dialogo/confronto e saper fare anche autocritica per mettere in discussione le proprie convinzioni.

La laicità, nella sua dimensione cristiana, è chiamata a rinarrare un volto nuovo di Dio, dell’uomo e della creazione e, come Gesù, saper intercettare le domande della vita sulla povertà, sui diritti, sul lavoro, ecc. Dotolo sostiene che l’identità sia un processo dinamico e aperto che si centra sulla lettura interpretativa dei contesti storici, perché l’obiettivo è storico. L’identità laicale che si inserisce nel contesto deve misurarsi con la capacità di mettere in relazione il suo essere credente con l’alterità del mondo.

Occorre infine, elaborare una lettura dell’identità laicale comboniana anche attraverso riferimenti a forme culturali e politiche: questo richiede una condivisione delle ministerialità che venga messa in rete e acquisisca anche la consapevolezza che essere alternativi non può racchiudersi ad un fatto di maggioranza. È necessario aprirsi ad una logica di inclusione più ampia, affinché la storia abbia l’ultima parola e sia essa a decidere. Lasciare quindi alla storia il suo compito profetico.

L’ultimo intervento, e qui è proprio il caso di dire “dulcis in fundo”, è stato quello di Giuliana Martirani la quale, dal suo osservatorio privilegiato geo-politico-economico, ha messo a fuoco la questione dell’identità mettendola in relazione con il problema dello scontro di civiltà che è in atto a causa della velocità con cui avvengono, oggi, gli spostamenti nel mondo, dove non ci possono essere barriere spazio/temporali Nord/Sud – Est/Ovest che blocchino o contengano spostamenti di masse migratorie.

Il laico innanzitutto – dice la Martirani – ha l’identità spirituale dello stare in piedi per mostrare la regalità della non chiusura degli spazi per mantenere un orizzonte temporale/spaziale aperto in virtù del fatto che i missionari, per antonomasia, sono stati i primi ad aver avuto l’esigenza di creare spazi aperti. Giuliana intravede delle vie da percorrere per mantenere aperti questi spazi. La prima via è quella della mediazione dei conflitti che nascono inevitabilmente a causa delle diversità culturali, religiose e ambientali. L’altra è la via dell’umiltà nell’incontro con le diverse culture dove far nascere un’economia fondata sulla “sobrietà felice”, come scelta da fare per amore e non per dolore. La via della resistenza ad un sistema iniquo e ingiusto, e della mitezza dove coltivare un atteggiamento di non aggressione, di ascolto e di riconciliazione con i “niente” della storia, con coloro, cioè, che si percepiscono tali perché sentono che fra sé e il resto del mondo c’è un vuoto, una voragine che a nessuno interessa colmare. L’identità, allora, può essere quella del nocciolo che si semina, quella dell’essere e dell’esserci in questa storia che cambia continuamente e cerca dei riscattatori che si danno in-pegno per creare vita e un futuro degno di essere vissuto per tutti.

La testimonianza di due coppie, sostenute da p. Claudio Longhi, ha conferito all’assemblea il sapore dell’andare incontro, del “lasciare” per incontrare e lasciarsi contaminare dal mondo altro, diverso, in cui imparare a condividere e crescere nella diversità e in cui far nascere relazioni autentiche alimentate dal confronto continuo. Ilaria e Federico, in missione in Brasile, mettono in evidenza che il loro è soprattutto un modo di seguire il Dio della loro vita che opera una scelta preferenziale per i poveri divenendo, in Gesù, pane spezzato. E così anche l’altra famiglia, Marco e Maria Grazia col piccolo Francesco, in partenza per l’Uganda, si preparano a vivere questa opzione per i più poveri come annunciazione/visitazione in cui avranno modo di restituire il dono che hanno ricevuto nella loro vita, e per essere loro stessi visitati per primi da quel Gesù che annunzierà loro di essere ancora vivo fra la gente che incontreranno e con cui vivranno. Su di loro alla fine tutta l’assemblea, nel momento celebrativo, ha imposto le mani come mandato ecclesiale, espressione piena di comunione e di condivisione.

A concludere i lavori è stato p. Venanzio Milani che nel ringraziare gli organizzatori per la buona riuscita dell’incontro ha espresso il suo augurio affinché si possa vivere una identità comboniana come processo dinamico, in continua identificazione, sostenuta da una spiritualità “in piedi”. Oggi – dice p. Venanzio – anche chi resta e lavora qui è laico missionario comboniano ed ha infine ricordato che la risorsa laicale a livello di Istituto è stata sempre presente ed è come un arcipelago con varie sfaccettature.

L’Assemblea ha avuto un momento di festa finale in cui ogni regione presente ha fatto degustare una propria specialità dolciaria guarnita da canti, danze, musiche, performances e tanta gioia nel ritrovarsi insieme.

Franco Chinnici
Laici Missionari Comboniani Palermo

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