Incontro 30 marzo 2019

Bari | 01 Mag 2019

LA MISSIONE DI COMBONI: LA STORIA, LE SFIDE, LE SUE SCELTE

Preghiera
(Maria, donna del Sabato santo – don Tonino Bello)

Santa Maria, donna del Sabato santo, estuario dolcissimo nel quale almeno per un giorno si è raccolta la fede di tutta la Chiesa, tu sei l’ultimo punto di contatto col cielo che ha preservato la terra dal tragico blackout della grazia. Guidaci per mano alle soglie della luce, di cui la Pasqua è la sorgente suprema.
Stabilizza nel nostro spirito la dolcezza fugace delle memorie, perché nei frammenti del passato possiamo ritrovare la parte migliore di noi stessi. E ridestaci nel cuore, attraverso i segnali del futuro, una intensa nostalgia di rinnovamento, che si traduca in fiducioso impegno a camminare nella storia.
Santa Maria, donna del Sabato santo, aiutaci a capire che, in fondo, tutta la vita, sospesa com’è tra le brume del venerdì e le attese della domenica di Risurrezione, si rassomiglia tanto a quel giorno. È il giorno della speranza, in cui si fa il bucato dei lini intrisi di lacrime e di sangue, e li si asciuga al sole di primavera perché diventino tovaglie di altare.
Ripetici, insomma, che non c’è croce che non abbia le sue deposizioni. Non c’è amarezza umana che non si stemperi in sorriso. Non c’è peccato che non trovi redenzione. Non c’è sepolcro la cui pietra non sia provvisoria sulla sua imboccatura. Anche le gramaglie più nere trascolorano negli abiti della gioia. Le rapsodie più tragiche accennano ai primi passi di danza. E gli ultimi accordi delle cantilene funebri contengono già i motivi festosi dell’alleluia pasquale.
Santa Maria, donna del Sabato santo, raccontaci come, sul crepuscolo di quel giorno, ti sei preparata all’incontro col tuo figlio Risorto. Quale tunica hai indossato sulle spalle? Quali sandali hai messo ai piedi per correre più veloce sull’erba? Come ti sei annodata sul capo i lunghi capelli di nazarena? Quali parole d’amore ti andavi ripassando segretamente, per dirgliele tutto d’un fiato non appena ti fosse apparso dinanzi?
Madre dolcissima, prepara anche noi all’appuntamento con lui. Destaci l’impazienza del suo domenicale ritorno. Adornaci di vesti nuziali. Per ingannare il tempo, mettiti accanto a noi e facciamo le prove dei canti. Perché qui le ore non passano mai.

Catechesi
(Riflessione di p. Beppe Cavallini sul contesto storico di Daniele Comboni. Riadattata da p. Palmiro Mileto)

Contesto storico della “missione” nel XIX secolo

Ogni evento/fenomeno per miglior comprensione va situato nella cornice entro cui si è svolto, lo stesso per le persone. L’Africa settentrionale cristianizzata nei primi secoli della Chiesa venne islamizzata (eccetto Etiopia e un po’ di Egitto…) dopo Maometto. Cristianesimo nel nord, dunque, non frutto della colonizzazione (come nel resto dell’Africa…) ma risalente agli Apostoli stessi.
Il secolo XIX rappresenta l’età eroica delle “missioni” nell’Africa Centrale e sub-sahariana. Veloce processo di cristianizzazione dovuto a tre fattori:

• rinnovamento e spinta missionaria: specie nella seconda metà del secolo;

• estrema ricettività religiosa degli africani;

• processo di conquista coloniale (con l’appendice della tratta!).

Missione difficile perché l’area dell’Africa Centrale è doppia dell’intera Europa, per le asprezze dei viaggi via mare, per la mancanza di qualsiasi infrastruttura e per il clima micidiale quasi ovunque!

• Questo aveva provocato una strage di missionari, e al tempo di Comboni (che pure aveva rischiato la pelle nel 1858) prima del Concilio Vaticano I, Roma aveva deciso di sospendere ogni attività missionaria (1868) ritirando tutti i missionari sul campo.

• Sarebbe stato il terzo fallimento dopo il primo dovuto alla conquista arabo-islamica del nord (fino al 1500) e il secondo tra i secoli 1500-1800, coinciso con la colonizzazione portoghese negli antichi regni (Congo, Angola, Zimbabwe, Mozambico…) dove – al tempo della tratta – dominò il sistema del “Padroado”. In esso andavano a braccetto politica, commercio e missione (per cui ad esempio il battesimo più che segnare la “vita nuova in Cristo” sanciva il patto di amicizia e di alleanza con il Portogallo!).

• La tratta divenne parte integrante del “Padroado”, e fu giustificata dalla Chiesa riducendo l’evangelizzazione a strumento di sostegno del sistema. Oppure nessuna attenzione fu posta al contesto che richiedeva inculturazione del Vangelo (vedi Mendez in Etiopia…)!

• Finché a fine ’700 la Rivoluzione francese e poi le guerre napoleoniche, indebolendo la Chiesa in Europa, posero fine a questo stile missionario. Ma rimase nel subconscio l’immagine del “sotto-uomo” africano, discendente di Cam, figlio maledetto di Noè (Gen 9,18-27) che incontriamo anche negli scritti di Comboni. Il pregiudizio razzista restò anche nei missionari… benché si opponessero alle sue origini e alle conseguenze nefaste (colonizzazione e schiavismo…).

Questa la cornice in cui si formò Comboni, che fu l’unico ad opporsi fieramente all’idea di chiudere con le missioni in Africa e al Concilio Vaticano I presentò il suo “Postulatum” firmato da 68 vescovi denunciando l’abbandono dell’Africa, una supplica mai discussa perché la guerra e Porta Pia fecero sospendere il Concilio!

Comboni, profeta dei tempi moderni

Tra le figure carismatiche suscitate dallo Spirito, portatori di novità e anticipatori del futuro, coraggiosi nel proporre a Chiesa e mondo risposte piene di speranza e fiducia. Comboni è figlio del suo tempo ma precursore di quanto sancito un secolo dopo dal Concilio Vaticano II. Alcuni suoi tratti:

• Attento lettore della storia: europea, africana, ecclesiale; inserito in essa e attivo protagonista nella sua costruzione… Con il senso della storia. Sentiva che era scoccata l’ora dell’Africa (Kairós).

• Scelta radicale per essa: passione incontenibile (mia amata… se avessi cento vite… il più bello dei miei giorni sarà quando darò la vita…). Fedele a Oliboni morente (25-3-1858): “Se anche uno solo restasse non gli venga meno la fiducia né si ritiri!”.

• Sintesi tra responsabilità personale e azione di Dio. Faceva tutto come dipendesse da sé, cosciente che tutto era guidato da un altro regista! Fino alla morte in mezzo a calunnie e apparente fallimento (muoio, ma la mia opera non morirà…).

La discriminante nella sua scelta radicale avvenne dopo la morte di Mazza (agosto 1865), quando i mazziani si ritirarono da ogni progetto missionario!
Rimase solo, e poteva confidare solo in se stesso… Fu allora che emersero insieme e si fusero i quattro parametri della sua personalità che univa idealismo/utopismo a forte senso pratico e capacità critica.
Vediamo quali sono questi quattro parametri della sua personalità:

1. Idealista/Realista
2. Fondatore
3. Organizzatore/Raccoglitore di fondi
4. Animatore

1. Idealista/Realista. Fin dal tempo di don Mazza. Sospinto dalla passione trasmessa dal missionario don Angelo Vinco. L’apice della sua creatività fu nel Piano (1864): una revisione critica globale della metodologia missionaria adottata fin da allora. Steso in 60 ore per intuizione ma non a tavolino, bensì sulla base della sua diretta esperienza e dell’esame critico di quella altrui. Il Piano svela le sue convinzioni profonde, al di là della certezza che era “l’ora dell’Africa”, andava rivoluzionato l’approccio geografico-ambientale (graduale adattamento fisico dei missionari da un lato ed educazione degli africani “sul posto” e non spostandoli in Italia dove il clima era micidiale…) fondando istituzioni lungo le coste del continente piuttosto che penetrando con tutti i rischi che comportava…, ma soprattutto il fondamento ecclesiologico e l’approccio missiologico/pastorale per cui:

Missione. Doveva essere un affare non di singoli Istituti preposti ma della Chiesa in quanto tale. Opera cattolica, non italiana, francese o austriaca… Anche se poi di fatto lui stesso fu costretto a fondare un proprio Istituto. Ma il Concilio Vaticano II riprese questo definendo la Chiesa “per sua natura missionaria”. Missione ed evangelizzazione centrali per la Chiesa universale (Lumen Gentium, 23).

Rigenerazione intesa non solo religiosamente come “conversione individuale” ma come processo di trasformazione dell’intera società. Aiutare l’Africa a decollare non in termini solo spirituali o religiosi ma anche sociali, creando le infrastrutture necessarie a ciò e preparando il personale che le gestisse: emancipazione femminile.

Fiducia nella capacità degli africani di diventare protagonisti della propria opera di evangelizzazione, di rigenerarsi mettendo a frutto le proprie capacità: Salvare l’Africa con l’Africa. Con ciò Comboni si contrapponeva alla mentalità corrente dove c’era chi dubitava perfino se l’africano avesse un’anima e comunque lo riteneva una sorta di sottoprodotto dell’umanità. L’Africa, per Comboni, poteva avere proprie Chiese locali con tanto di ministeri ordinati e laicali.

Attenzione e apprezzamento per la sensibilità dell’africano, la sua cultura e tradizione: processo duplice di acculturazione (per i missionari…) e di inculturazione, per costruire la Chiesa universale intesa come comunione di Chiese locali.

2. Fondatore. Più che per vocazione lo divenne per scelta forzata, l’alternativa sarebbe stata abbandonare l’Africa.

• Il 25 giugno 1865 Mazza chiede e ottiene da Roma il territorio dell’Africa Centrale (doppio dell’Europa) ma la sua morte segna la fine dell’impegno mazziano per l’Africa. Pertanto il 1° giugno 1867 Comboni fonda l’Istituto per le Missioni della Nigrizia.

• Nelle Regole stese nel 1871 e poi riviste nel 1872 non è inclusa alcuna professione dei tre voti religiosi, solo il votum missionis, cioè di dedizione a vita al lavoro apostolico in Africa. Un’associazione di ecclesiastici (provenienti da clero secolare come anche da Istituti diversi, i primi furono preti secolari di Verona e camilliani…) a cui si aggiunsero “fratelli coadiutori” e laici (nel 1885 mons. Sogaro, suo successore, trasformerà con l’aiuto dei Gesuiti l’Istituto in Congregazione Religiosa di voti semplici e perpetui…).

• Nel 1872 fonda l’Istituto delle Pie Madri della Nigrizia. Nel 1870 presenta il Postulatum al Concilio Vaticano I e nel 1872 Pio IX lo fa Pro-vicario e quindi (1877) primo vescovo residente in Africa.

• Da allora, fino alla fine, lotta contro schiavitù e sfruttamento coloniale… che provocherà la rivolta del Mahdi (dal 1882 al 1898), di natura anti-coloniale e filo-schiavista con copertura religiosa.

• Con la caduta di Khartum e la morte di Gordon e del console austriaco Hansel i resti di Comboni ivi sepolto vengono profanati.

Come fondatore a Comboni premevano due cose:

• che chi si associava all’Istituto fosse persona matura, preparata allo scopo e decisa a dare tutta la propria vita per la causa dell’Africa. Dava per scontata la capacità di vivere da consacrati, pur non contemplando l’assunzione pubblica dei voti religiosi.

• Insistenza (sia con padre Sembianti sia con madre Bollezzoli, incaricati degli Istituti di Verona) nel curare la preparazione spirituale ma anche umana dei candidati… date le enormi sfide dell’Africa. Non gente dal collo storto ma capaci di affrontare ogni avversità.

3. Organizzatore/Raccoglitore di fondi. La carenza di mezzi economici fu una costante di Comboni, che tuttavia non perse mai la fiducia nella provvidenza e si pose nelle mani di S. Giuseppe, fidato amministratore ed economo!

• Consolidare le fondazioni fu una delle sue costanti preoccupazioni… una sfida enorme perché richiedeva personale capace, mezzi economici ingenti, senso degli affari e attitudine manageriale.

• Furono spesso i collaboratori a rendergli la vita difficile, accusandolo di essere accentratore, di sperperare soldi, di essere confusionario… Nel 1878 si trovò con grossi debiti, creatisi mentre lui si trovava in Europa, e in mezzo a una gravissima carestia, ma riuscì a coprirli spiegando la situazione ai benefattori che sapeva coltivare in modo ineguagliabile.

• Esperto “public relations man” nel lanciare “campagne di immagine” e operazioni di marketing della missione africana! (nelle relazioni regolari che inviava alle Società missionarie di sostegno!).

• Nei momenti decisivi e in situazioni spesso in apparenza senza via di uscita interveniva qualche imprevisto benefattore a risolvergli i problemi. Quanto a responsabili per i suoi Istituti in genere sapeva scegliere persone di fiducia e con le doti necessarie a ricoprire il ruolo loro dato.

4. Animatore missionario. Due livelli:

• spola costante tra Europa e Africa e animazione via media (lettere, articoli su giornali, Annali del Buon Pastore, relazioni e dossier…). Un campo privilegiato (raccolta di oltre mille lettere ma altre migliaia perdute!) in cui divenne insuperabile.

• Soprattutto legame con realtà e istituzioni che riusciva a coinvolgere secondo il campo loro proprio: interessi politici (contatti con autorità europee ed egiziane); culturali (contribuiva con articoli a varie riviste e associazioni culturali); economici (benefattori ed enti che finanziavano l’opera); ecclesiastici e religiosi (vescovi, Propaganda Fide, papa, associazioni missionarie di Austria, Francia, Germania).

Uno stile di animazione che aveva caratteristiche precise:

Efficace perché intrisa di entusiasmo, speranza e passione per l’Africa.

Credibile perché fondata su dati concreti e precisi (leggeva tutto sull’Africa, conosceva i trattati di esploratori e conobbe di persona molti di loro), incontro diretto e personale di conoscenza e coerenza con la realtà di cui parlava.

Convincente in circoli religiosi e ambiti ecclesiali perché innovativa e fondata sul far sentire direttamente coinvolti nell’attività di evangelizzazione anche se fisicamente lontani dal continente.

• Attenta ad integrare e mantenere continuità tra l’attività missionaria “sul campo” e l’attività di animazione missionaria. Era la stessa missione portata avanti con modalità e in contesti diversi! Una cosa difficile da capire oggi per molti.

Conclusione

Fondamento trinitario e spiritualità della Croce e del Cuore trafitto del Buon Pastore. Questo è il segreto del “successo postumo” della profezia di Comboni: “Io muoio ma la mia opera non morirà” (benché si trovasse di fronte al più assoluto fallimento con la salute che lo aveva lasciato, i compagni di missione già perduti, la carestia che imperversava, calunnie d’ogni tipo alla sua persona, invidie e intrighi tra i missionari, indifferenza alle sue opinioni… e all’orizzonte le avvisaglie dell’uragano mahdista che si avvicinava…). Comboni aveva l’assoluta certezza di fede che quanto si stava realizzando in Africa non fosse altro che la volontà di Dio in quel frangente storico per il continente (l’ora dell’Africa!). Fu questo a non farlo desistere, nonostante avesse di fronte il fallimento di tanti che con molto maggiore disponibilità di mezzi e di personale avevano deciso di abbandonare l’Africa.
Proprio come ha affermato il card. Gabriel Zubeir Wako, suo successore come arcivescovo di Khartum, in occasione del Sinodo africano del 1994: “Senza Comboni oggi non ci sarebbero vescovi, sacerdoti, diaconi, fratelli, suore e catechisti sudanesi. Noi siamo il suo sogno divenuto realtà e siamo impegnati a renderlo più reale lavorando sodo a servizio dei più abbandonati tra i nostri fratelli e sorelle”.

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