Incontro 29 aprile 2017

Bari | 07 Mag 2017

La formazione dei missionari (Ad Gentes 24-26)

Spiritualità missionaria

24. Alla chiamata di Dio l’uomo deve rispondere in maniera tale da vincolarsi del tutto all’opera evangelica, «senza prender consiglio dalla carne e dal sangue». Ed è impossibile dare una risposta a questa chiamata senza l’ispirazione e la forza dello Spirito Santo. Il missionario diventa infatti partecipe della vita e della missione di colui che «annientò se stesso, prendendo la natura di schiavo» (Fil 2,7); deve quindi esser pronto a mantenersi fedele per tutta la vita alla sua vocazione, a rinunciare a se stesso e a tutto quello che in precedenza possedeva in proprio, ed a «farsi tutto a tutti».
Annunziando il Vangelo ai pagani, deve far conoscere con fiducia il mistero del Cristo, del quale è ambasciatore: è in suo nome che deve avere il coraggio di parlare come è necessario, senza arrossire dello scandalo della croce. Seguendo l’esempio del suo Maestro, mite e umile di cuore, deve dimostrare che il suo giogo è soave e il suo peso leggero. Vivendo autenticamente il Vangelo, con la pazienza, con la longanimità, con la benignità, con la carità sincera, egli deve rendere testimonianza al suo Signore fino a spargere, se necessario, il suo sangue per lui. Virtù e fortezza egli chiederà a Dio, per riconoscere che nella lunga prova della tribolazione e della povertà profonda risiede l’abbondanza della gioia. E sia ben persuaso che è l’obbedienza la virtù distintiva del ministro di Cristo, il quale appunto con la sua obbedienza riscattò il genere umano.

Formazione spirituale e morale

25. […] Il missionario, animato da viva fede e da incrollabile speranza, sia uomo di preghiera; sia ardente per spirito di virtù, di amore e di sobrietà; impari ad essere contento delle condizioni in cui si trova; porti sempre la morte di Gesù nel suo cuore con spirito di sacrificio, affinché sia la vita di Gesù ad agire nel cuore di coloro a cui viene mandato; nel suo zelo per le anime spenda volentieri del suo e spenda anche tutto se stesso per la loro salvezza, sicché «nell’esercizio quotidiano del suo dovere cresca nell’amore di Dio e del prossimo». Solo così, unito al Cristo nell’obbedienza alla volontà del Padre, potrà continuare la missione sotto l’autorità gerarchica della Chiesa e collaborare al mistero della salvezza.

Formazione dottrinale e apostolica

26. Coloro che saranno inviati ai vari popoli pagani, se vogliono riuscire buoni ministri del Cristo, «siano nutriti dalle parole della fede e della buona dottrina» (1Tm 4,6): essi le attingeranno soprattutto dalla sacra Scrittura, approfondendo quel mistero del Cristo di cui saranno poi messaggeri e testimoni.
Perciò tutti i missionari – sacerdoti, religiosi, suore e laici – debbono essere singolarmente preparati e formati, secondo la loro condizione, perché siano all’altezza del compito che dovranno svolgere. Fin dall’inizio la loro formazione dottrinale deve essere impostata in modo da non perdere di vista l’universalità della Chiesa e la diversità dei popoli.

Spunti di riflessione

Domande

Parole che non comprendo

Riflessioni di padre Ottavio durante l’incontro

• Qualunque cosa succeda, se il Signore ci ha fatto incontrare una persona, non la potremo mai cancellare.

• Vivere il presente guardando alla pienezza.

• Non pensare a ciò che manca, valorizziamo ciò che abbiamo.

• Non puoi rispondere ad una chiamata con i “SE” e con i “MA”.

• Mettere al centro della nostra di vita di laici – in qualsiasi fase e ambiente di vita – l’ANNUNCIO. Se non annuncio/non testimonio tradisco me stesso e l’altro in quanto non adempio alla mia missione e rendo l’altro più povero.

• Obbedienza: non significa rispetto delle regole, ma entrare in un progetto.

• Non insegniamo una dottrina, ma che è possibile vivere un diverso stile di vita.

• La missione non è trasmettere idee, ma condividere la vita: questa è fecondità!

Corrispondenza dalla Missione

Dal Sud Sudan

Tanta fatica! Tutti e a tutti i livelli stiamo facendo tanta fatica in Sud Sudan. Due-tre anni fa si respiravano entusiasmo, fiducia, movimento, aria frizzante e voglia di crescere. Oggi si vivono paura, frustrazione, rabbia, miseria e fame. Tutto, o comunque tanto, non funziona. Dall’aeroporto che ti accoglie a Juba, alle strade che dovrebbero portarti nelle aree rurali.
Si viaggia solo con piccoli aerei privati o delle Nazioni Unite. C’è un caldo infernale e siccità. Una volta che arrivi nello Stato dei Laghi, oggi diviso in tre parti per accontentare tutti, la povertà e la miseria sono ancora più immediate ed evidenti. Il mercato è quasi vuoto: trovi a malapena riso, fagioli o farina e costa tutto carissimo. Niente frutta o verdura. La svalutazione è fuori controllo e galoppa a velocità angosciante per la popolazione. Otto giorni fa per comperare un dollaro servivano 130 PSS (pounds sud sudanesi) oggi ne devi avere 180. La gente sta diventando sempre più povera e c’è fame. In questo clima anche l’insicurezza cresce. Per strada tanti ragazzi portano a tracolla un kalashnikov pronto all’uso se qualcuno ruba una gallina o una vacca. I funzionari pubblici, gli insegnanti e gli infermieri non ricevono il salario da quattro mesi. Anche negli ospedali di Rumbek, Cueibet e Yirol e negli oltre 90 centri e posti sanitari che stiamo sostenendo, gli infermieri del Governo sono demotivati, stanchi, arrabbiati. Spesso abbandonano il loro servizio per cercare cibo per i propri figli e i pazienti.
Nei reparti di pediatria i bambini malnutriti ormai hanno raggiunto oltre un terzo dei ricoveri (una percentuale molto più alta di quella dello scorso anno) e le mamme ti chiedono di non essere dimesse perché a casa non hanno da mangiare. Negli ultimi due mesi si è aggiunto il colera: un’epidemia che si espande a vista d’occhio quando non c’è accesso all’acqua pulita. Non si tratta tanto di un problema medico-clinico quanto piuttosto socio-economico.
E poi si aggiungono gli sfollati, quelli che scappano dal vicino Stato di Unity dove più gravi sono la carestia e la fame. Quelli che non muoiono scappano in cerca di cibo e cura e un po’ dovunque trovi capanne e baracche improvvisate, fatte di frasche e nylon, piene soprattutto di mamme e bambini. Abbiamo bisogno di aiuto!!
A soffrire più di tutti sono le fasce più povere della popolazione e la sofferenza ti entra dentro nel vedere certe situazioni e nel non poter fare di più, aiutare di più. Tutti, anche noi, stiamo facendo tanta fatica. Il clima è più teso, le relazioni più difficili, l’entusiasmo e l’allegria devi volerle e cercarle molto in fondo dentro di te e coltivarle come pianticelle preziose. Eppure vogliamo starci, vivere e affrontare insieme a loro anche questo momento. CON loro. A darci forza e fiducia sono ‘gioiellini’ come Arnold, medico Cuamm ugandese, che rimane lì, da tre anni, in mezzo alle pallottole e alla fame, o Jane, ostetrica dell’Uganda, da due anni a Cuibet per formare il personale locale. E con loro altri nostri volontari italiani.
Grazie per essere con noi, con loro.

Don Dante

Dal Ciad

N’Djamena, 27 aprile 2017

La Tenda d’Abramo, insieme al Centro Cattolico Universitario, al Centro Emmanuel, Al Mouna, Salesiani Don Bosco, ha organizzato sabato 22 e domenica 23 aprile 2017 una due giorni di riflessione dal titolo “Giovani ciadiani cristiani e musulmani: la sfida del vivere insieme”.
L’idea è maturata nell’ambito delle iniziative di formazione e sensibilizzazione al dialogo interreligioso e alla coabitazione pacifica in Ciad rivolte al mondo giovanile. Il dialogo interreligioso in Ciad ha una importanza tutta particolare in quanto le due comunità religiose scontano un ritardo di comprensione reciproca dovuto a precise cause storiche. Senza entrare nel merito, il paese ha conosciuto una frattura politica, sociale e religiosa che, nonostante gli sforzi pacificatori dell’attuale presidente e dell’élite al potere, ha ancora oggi, conseguenze gravi sul/nel quotidiano ciadiano.
Da qui l’importanza dell’idea di “coabitazione pacifica” assunta dal governo e messa in pratica da una plateforme interreligieuse dove i rappresentanti dell’Islam, della Chiesa cattolica e delle Chiese protestanti annualmente elaborano e presentano al paese la Giornata Nazionale di Preghiera per la Coabitazione Pacifica, di solito il 25 novembre.
Alla Tenda i conferenzieri, padre Claude Ondigar – comboniano – ed il sig. Abdelrahman – coordinatore di un gruppo di organizzazioni della società civile – si sono intrattenuti, il primo, sulla nascita e sviluppo dell’Islam e cristianesimo in Africa subsahariana; il secondo è entrato più nel dettaglio della “coabitazione pacifica”, offrendo una valida testimonianza sul suo significato e come viverla nell’ambito giovanile e più in generale nella società ciadiana.
I giovani – cristiani e musulmani, ragazzi e ragazze – hanno seguito attentamente le relazioni, interagendo con i conferenzieri e partecipando attivamente alle dinamiche di riflessione loro proposte.
Abbiamo avuto anche la piacevole sorpresa della presenza di mons. Henri Coudray, vescovo di Mongo, una zona del paese molto islamizzata. Mons. Coudray ha incoraggiato i giovani a coinvolgersi in prima persona perché la coabitazione diventi sempre più una realtà del Ciad. Le idee scaturite dalla due giorni ci permettono di abbozzare una road map sul da farsi a proposito della coabitazione. Come Tenda d’Abramo abbiamo constatato la validità della proposta formativa, così come della collaborazione attiva tra i centri culturali di N’Djamena. Un aspetto da sottolineare è stata la presenza di delegazioni delle parrocchie comboniane: un segno dell’interesse delle tematiche in questione.
La Tenda d’Abramo è impegnata a realizzare tutto ciò insieme a quanti sono pronti a vivere nel quotidiano la coabitazione pacifica in Ciad.

Enrico Gonzales, comboniano
Responsabile Tenda d’Abramo

Dal Portogallo

Ottavio, fratello amato, come stai?
Qui in Portogallo son successe tante cose.
Come ti ho detto sono andato a trovare gli amici comboniani di Maia, vicino Porto e c’è la possibilità che faccia da animatore al campo estivo i primi di luglio.
Parallelamente sto frequentando un gruppo universitario dai gesuiti, che mi stanno dando molta ricchezza. Nell’ultimo mese ho viaggiato molto, guidando per più di 2500 km tra Portogallo e Spagna e ho potuto apprezzare la grandissima creatività di Dio nel modellare la nostra terra nelle forme più varie e apprezzabili, tra mari, montagne, fiumi, laghi, alberi in fiore, cascate e tramonti mozzafiato.
Qui sto studiando tanto, ma ne vale la pena, anche quando le carte mi tengono incollato alla sedia fino a notte fonda. Ti chiedo di pregare per me, affinché lo Spirito davvero mi possa illuminare: stare qui per me è una grande opportunità, una grande ricchezza, ma i ritmi da sostenere sono davvero alti e perdere la bussola è davvero facile. Accompagnami da lì, affinché il Signore possa sempre darmi il coraggio di intraprendere la strada di una vita donata, che i giorni che sto spendendo qui non li tenga per me, che non li disperda, ma che possano essere ricchezza per il mondo.
Ti voglio bene, nonnino mio. A presto.

Davide (GIM Bari)

Daniele Comboni – Una conversione necessaria…

Il superamento delle proprie chiusure e vedute ristrette è un passaggio ineludibile in ogni cammino di fede. Anche San Daniele Comboni ci è dovuto passare. Figlio del suo tempo, aveva assorbito dalla cultura romantica dell’800 la visione di una missione che condividesse con i popoli dell’Africa il vangelo e la “civiltà”, che oggi chiameremmo sviluppo umano sostenibile. Così inizialmente pensava che la presenza di scuole, arti e mestieri fosse importante per attirare gli africani al vangelo. Ma poi, incontrandoli sui Monti Nuba, vivendo col loro, e constatando che non erano poi così interessati alla cosiddetta “civiltà”, si trovò spiazzato e cominciò a realizzare che il loro stile di vita e la loro cultura erano molto più “civili” e morali di come si comportavano gli europei in Africa. Si aprì per lui un nuovo, più largo orizzonte in cui gli africani diventavano gli autentici protagonisti della missione con l’incontro tra il vangelo e la loro vita. Le lettere che Comboni scrisse dai Monti Nuba presentano questa sua conversione in modo sorprendente e vibrante… è un peccato che non visse ancora abbastanza da realizzare queste sue riflessioni sul campo.

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