Incontro 28 gennaio 2017

Bari | 07 Feb 2017

La formazione della comunità cristiana (Ad Gentes 15)

15. Lo Spirito Santo, che mediante il seme della parola e la predicazione del Vangelo chiama tutti gli uomini a Cristo e suscita nei loro cuori l’adesione alla fede, allorché rigenera a nuova vita in seno al fonte battesimale i credenti in Cristo, li raccoglie nell’unico popolo di Dio, che è «stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione sacra, popolo di redenti».
Perciò i missionari, come cooperatori di Dio, devono dar vita a comunità di fedeli che, seguendo una condotta degna della vocazione alla quale sono state chiamate, siano tali da esercitare quella triplice funzione sacerdotale, profetica e regale che Dio ha loro affidata. In questo modo la comunità cristiana diventa segno della presenza divina nel mondo: nel sacrificio eucaristico, infatti, essa passa incessantemente al Padre in unione con il Cristo, zelantemente alimentata con la parola di Dio rende testimonianza al Cristo e segue la via della carità, ricca com’è di spirito apostolico.
Fin dall’inizio la comunità cristiana deve essere formata in modo che possa provvedere da sola, per quanto è possibile, alle proprie necessità. Un tal gruppo di fedeli, in possesso del patrimonio culturale della nazione cui appartiene, deve mettere profonde radici nel popolo: da esso germoglino famiglie dotate di spirito evangelico e sostenute da scuole appropriate; si costituiscano associazioni e organismi, per mezzo dei quali l’apostolato dei laici sia in grado di permeare di spirito evangelico l’intera società. Risplenda infine la carità tra cattolici appartenenti a diversi riti.
Anche lo spirito ecumenico deve essere favorito tra i neofiti, nella chiara convinzione che i fratelli che credono in Cristo sono suoi discepoli, rigenerati nel battesimo e compartecipi di moltissimi tesori del popolo di Dio. Nella misura in cui lo permette la situazione religiosa, va promossa un’azione ecumenica tale che i cattolici, esclusa ogni forma di indifferentismo, di sincretismo e di sconsiderata concorrenza, attraverso una professione di fede – per quanto possibile comune – in Dio ed in Gesù Cristo di fronte ai non credenti, attraverso la cooperazione nel campo tecnico e sociale come in quello religioso e culturale, collaborino fraternamente con i fratelli separati, secondo le norme del decreto sull’ecumenismo. Collaborino soprattutto per la causa di Cristo, che è il loro comune Signore: sia il suo nome il vincolo che li unisce! Questa collaborazione va stabilita non solo tra persone private, ma anche, secondo il giudizio dell’ordinario del luogo, a livello delle Chiese o comunità ecclesiali, e delle loro opere.
I fedeli, che da tutti i popoli sono riuniti nella Chiesa, «non si distinguono dagli altri uomini né per territorio né per lingua né per istituzioni politiche» perciò debbono vivere per Iddio e per il Cristo secondo le usanze e il comportamento del loro paese: come buoni cittadini essi debbono coltivare un sincero e fattivo amor di patria, evitare ogni forma di razzismo e di nazionalismo esagerato e promuovere l’amore universale tra i popoli.
Grande importanza hanno per il raggiungimento di questi obiettivi, e perciò vanno particolarmente curati, i laici, cioè i fedeli che, incorporati per il battesimo a Cristo, vivono nel mondo. Tocca proprio a loro, penetrati dello Spirito di Cristo, agire come un fermento nelle realtà terrene, animandole dall’interno ed ordinandole in modo che siano sempre secondo il Cristo.
Non basta però che il popolo cristiano sia presente ed organizzato nell’ambito di una nazione; non basta che faccia dell’apostolato con l’esempio: esso è costituito ed è presente per annunziare il Cristo con la parola e con l’opera ai propri connazionali non cristiani e per aiutarli ad accoglierlo nella forma più piena.
Inoltre, per la costituzione della Chiesa e lo sviluppo della comunità cristiana, sono necessari vari tipi di ministero, che, suscitati nell’ambito stesso dei fedeli da una aspirazione divina, tutti debbono diligentemente promuovere e rispettare: tra essi sono da annoverare i compiti dei sacerdoti, dei diaconi e dei catechisti, e l’Azione cattolica. Parimenti i religiosi e le religiose, per stabilire e rafforzare il regno di Cristo nelle anime, come anche per estenderlo ulteriormente, svolgono un compito indispensabile sia con la preghiera, sia con l’attività esterna.

Spunti di riflessione (cosa mi fa riflettere)

Domande (che sorgono in me)

Parole che non comprendo

Riflessioni di padre Ottavio durante l’incontro

– Dobbiamo essere “persone che non si appartengono”.
– Il dialogo ecumenico nasce nell’ambito delle missioni in Africa.
– “Amor di patria” significa essere legati alla realtà in cui ci si trova (nelle sue forme di aggregazione quali feste, riti, ecc.), ma senza mistificazioni e fondamentalismi.
– Gesù non predica se stesso, ma il Regno, il sogno di Dio.
– Funzione sacerdotale: relazione con Dio; si esercita nel culto.
– Funzione profetica: relazione con i fratelli; si esercita nell’annuncio del “sogno” di Dio, preceduto, nel caso, dalla denuncia di ciò che è difforme dal “sogno” di Dio.
– Funzione regale: relazione con il creato/le cose; si esercita nel valorizzare ogni realtà, senza lasciarsi schiavizzare.
– Non conta ciò che si dice o ciò che si fa, ma essere persone di relazione.
– I poveri “stancano”: se non hai lo sguardo verso Gesù, si cede.
– I doni li scopri camminando.
– Manca la fraternità perché non ci si sente “figli” di uno stesso Padre.
– Insieme nella diversità siamo benedizione.
– I limiti sono opportunità.
– La fede non è un “vedere per credere”, ma un “credere per vedere”.

Una sfida: la comunità profetica in Comboni

La chiamata alla missione ci unisce, crea l’appartenenza ad un progetto comune, e come dice Comboni, ci costituisce “cenacolo di Apostoli per l’Africa, un punto luminoso che manda fino al centro della Nigrizia altrettanti raggi quanti sono i zelanti e virtuosi Missionari che escono dal suo seno: e questi raggi che splendono insieme e riscaldano, necessariamente rivelano la natura del Centro da cui emanano” (Scritti 2648).
Daniele Comboni vive in prima persona questa esperienza di “cenacolo” nei rapporti con i suoi missionari/e (cfr. Scritti 2742). L’essere “cenacolo” indica una realtà non basata su affinità di persone o di interessi umani, ma una particolare esperienza di Chiesa e di comunione che ha il suo fondamento in Cristo, Parola ed Eucaristia. È luogo d’incontro tra il mistero di Dio e la nostra realtà di persone diverse, limitate e fragili, in cui si congiungono l’iniziativa divina e la libera collaborazione umana. Il nostro essere “cenacolo di apostoli” ha lo scopo di “rivelare la natura del Centro” da cui i suoi membri traggono vigore e impulso missionario (cfr. Scritti 2648). Questo è già “annuncio missionario”, il primo che siamo chiamati a dare.
Comboni, consapevole che è la Provvidenza a portare avanti l’opera missionaria, attraverso il concorso e la continuazione del lavoro di tanti (cfr. Scritti 2700), ha perseguito con tutte le sue forze questa idea di collaborazione universale radunando attorno a sé uomini e donne, laici e religiosi, intellettuali ed operai, senza distinzione di nazionalità o di cultura: tutti elementi eterogenei, che egli doveva “mettere in perfetta armonia, ridurre ad unità di intenti e di bandiera” (cfr. Scritti 2507-2508).
Significativa è l’ispirazione di Comboni: “far concorrere, per primo, nell’apostolato dell’Africa Centrale, l’onnipotente ministero della donna del Vangelo e della Suora di carità” che definisce “scudo, forza, e garanzia del ministero del missionario” (cfr. Scritti 5284). In un periodo storico in cui si considerava l’apostolato femminile solo come un “sostegno” in tutto subordinato alla parte maschile, Daniele Comboni, con una visione veramente profetica, parla del ‘ministero’ della donna e ritiene indispensabile, per la riuscita della sua opera, la collaborazione paritaria dell’uomo e della donna.
Era infatti convinto che le opere di Dio, “separate le une dalle altre producono scarsi ed incompleti frutti, ed invece unite e dirette all’unico scopo, prenderebbero maggiore vigore, si svilupperebbero più facilmente e diventerebbero efficacissime ad ottenere lo scopo bramato” (Scritti 1100).
Il motto programmatico di Comboni suonava: “siano sacerdoti o laici, vivono insieme da fratelli nella medesima vocazione”. Parole confermate da quanto scrive il laico August Wisniewski: “Il modo come [Comboni] ci tratta è eccellente, e poi c’è un amore tra di noi come non l’abbiamo mai sperimentato prima. Si prende cura di tutto e a ogni membro della missione viene assegnato un campo di azione: sacerdoti e laici sono trattati in ugual modo”.

P. Filo: una provocazione oggi per te e per noi dalla missione in Ciad

Natale di frontiera… Il Dio che viene nella crisi

Inutile dire che siamo in crisi. Siamo stanchi di parlarne e soprattutto di viverla!
Trump non promette niente di buono, la guerra in Siria è al suo sesto anno, la guerra in Yemen ha fatto più di 10.000 morti (ma quasi nessuno ne parla), gli attentati colpiscono dappertutto (ma fanno rumore solo a certe latitudini!), si muore per le strade del Congo in questi giorni in cui si protesta per un presidente scaduto che non se ne vuole andare, è caos in Gabon dopo le elezioni truccate, in Centrafrica le esazioni contro la popolazione riprendono, in Sud Sudan la pace è ancora in alto mare, l’intolleranza del mondo contro gli immigrati sale. Può bastare per questo Natale?
Qui in Ciad le scuole e le Università sono chiuse (quasi tutte! Poche come le nostre resistono con grandi difficoltà) da più di tre mesi, gli ospedali chiusi, gli studenti per strada, gli insegnanti senza salario e senza speranza. Le famiglie stringono la cinghia e sono costrette a tornare nei villaggi dove almeno il lavoro dei campi non dipende dal buonumore o dal furto delle casse dello Stato dell’etnia al potere. Molti fanno fatica anche a mangiare. Fino a quando?
Sarà Natale quest’anno per il Ciad? Sarà Natale per l’umanità?
Dov’è Dio in questa crisi? Esiste.
L’ho incontrato all’opera per resistere nel volto e nelle gambe di Claude, venditore ambulante di medicinali sulle strade di Abéché per cercare di sfamare la moglie e 5 bambini. Chilometri e chilometri ogni giorno a piedi per bussare alle porte e vendere qualche aspirina. Per andare avanti. È cristiano impegnato e lotta per vivere…
L’ho riconosciuto nelle mani di Isabelle, giovane vedova insegnante senza salario della nostra comunità cristiana e coordinatrice della Caritas, sempre pronta a tendere una mano a chi è ammalato in ospedale, a chi fatica in carcere, a chi non ce la fa nella vita. Per dare speranza.
L’ho visto negli occhi di Dene, abbandonata dal marito, senza lavoro e con 4 figli a carico; occhi che non hanno più lacrime ma tanta voglia di battersi per vendere sapone al mercato e sfamare la famiglia. Per non arrendersi.
L’ho salutato in un abbraccio a Abdoulaye Issacar, imam di Abéché, che mi ha aperto la porta di casa sua.
Questi sono solo alcuni dei tantissimi ciadiani che resistono alla crisi e alla disperazione lottando ogni giorno. Questi sono i miei testimoni di un Dio che non si arrende. Allora è ancora Natale, Dio nasce ancora dentro questa resistenza nonviolenta che semina speranza ad ogni passo. Che fa rialzare dopo ogni caduta.
Questo è il Dio in cui credo. Non onnipotente, ma impotente, il Dio bambino, il Dio che non può se non trova cuori e gambe che osano un mondo altro. Il Dio vicino che sta alle frontiere del mondo ferito. Il Dio che prende carne, che si immerge dentro questa crisi che sembra stritolarci, toglierci prospettive e sogni! E dentro la vicenda umana prova con noi a ribaltare la storia.
In fondo Natale dipende da noi… non da una scadenza del calendario o da una ricorrenza riscaldata. Dipende da me e da te il Natale. Anche per Dio sarà Natale solo se trova gente che si lascia provocare dal suo gesto di avvicinarci. Per chiederci di avvicinarci agli ultimi del mondo, ai derelitti della storia. Nelle frontiere del mondo. Come la frontiera di Abéché, città faro dell’Islam in Ciad. Per vivere il Natale vero sulla strada al fianco di chi non conta agli occhi degli uomini. Allora ci vogliono occhi nuovi per vedere il Natale. Abbiamo tutti così bisogno di riprendere la strada della contemplazione per riconoscere Dio sulla strada e in frontiera. Guardare l’Uomo con occhi diversi… come fratello e non nemico.
Sarò da domani fino al 29 dicembre sulla strada alla frontiera con il Sudan per incontrare Dio nelle comunità cristiane di Ade, Am Djarema, Koukou, Goz Beida. Incontri, volti, celebrazioni, storie che dicono la voglia matta di resistere alla crisi, di dare una svolta al nostro pazzo mondo, di vivere davvero Natale, di incontrare finalmente Dio. Certo con problemi immensi, contraddizioni, cadute… ma anche con il desiderio vero di rifarsi una vita.
Allora sarà la svolta, a partire dal basso, ma state tranquilli che non la racconteranno né le televisioni, forse internet, né i libri di storia. Sarà Natale per i piccoli del mondo… e tanti magari non se ne accorgeranno neanche. La svolta verrà dalle piccole storie di frontiera che cambiano il mondo in silenzio, dagli affetti veri, dalle relazioni ritrovate, dalle narrazioni di riscossa e rinascita, dalla capacità di rimettersi in cammino, dal Dio che si fa così vicino e piccolo da scaldarci cuori e vite per dirci che ci ama ancora… e che ha bisogno di te e di me per amare e cambiare il mondo!

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