Incontro 26 novembre 2016

Bari | 03 Dic 2016

Evangelizzazione e conversione (Ad Gentes 13)

13. Ovunque Dio apre una porta della parola per parlare del mistero del Cristo, con franchezza e con perseveranza deve essere annunziato il Dio vivente e colui che egli ha inviato per la salvezza di tutti, Gesù Cristo. Solo così i non cristiani, a cui aprirà il cuore lo Spirito Santo, crederanno e liberamente si convertiranno al Signore, e sinceramente aderiranno a colui che, essendo «la via, la verità e la vita» (Gv 14,6), risponde a tutte le attese del loro spirito, anzi le supera infinitamente.
Una tale conversione va certo intesa come un inizio: eppure è sufficiente perché l’uomo avverta che, staccato dal peccato, viene introdotto nel mistero dell’amore di Dio, che lo chiama a stringere nel Cristo una relazione personale con lui. Difatti, sotto l’azione della grazia di Dio, il neo-convertito inizia un itinerario spirituale in cui, trovandosi già per la fede in contatto con il mistero della morte e della risurrezione, passa dall’uomo vecchio all’uomo nuovo che in Cristo trova la sua perfezione. Questo passaggio, che implica un progressivo cambiamento di mentalità e di costumi, deve manifestarsi nelle sue conseguenze di ordine sociale e svilupparsi progressivamente nel tempo del catecumenato. E poiché il Signore in cui si crede è segno di contraddizione, non di rado chi si è convertito va incontro a rotture e a distacchi, ma anche a gioie, che Dio generosamente concede.
La Chiesa proibisce severamente di costringere o di indurre e attirare alcuno con inopportuni raggiri ad abbracciare la fede, allo stesso modo in cui rivendica energicamente il diritto che nessuno con ingiuste vessazioni sia distolto dalla fede stessa.
Secondo una prassi antichissima nella Chiesa, i motivi della conversione vanno bene esaminati, e, se è necessario, purificati.

Spunti di riflessione

Gesù deve essere annunziato:
– a tutti (Mc 16,15)
– con franchezza e fermezza (At 4,13.29.31)
Senza l’annuncio non si giunge a credere, a convertirsi e ad aderire a Colui che è la pienezza (At 16,14)
Non c’è spazio per imposizioni…

(scrivi una frase che hai sottolineato nel brano precedente)

Domande

E io annuncio Gesù? Come?
Lo annuncio con stili di vita e con parole?

Catecumenato e iniziazione cristiana (Ad Gentes 14)

14. Coloro che da Dio, tramite la Chiesa, hanno ricevuto il dono della fede in Cristo, siano ammessi nel corso di cerimonie liturgiche al catecumenato. Questo, lungi dall’essere una semplice esposizione di verità dogmatiche e di norme morali, costituisce una vera scuola di formazione, debitamente estesa nel tempo, alla vita cristiana, in cui appunto i discepoli vengono in contatto con Cristo, loro maestro. Perciò i catecumeni siano convenientemente iniziati al mistero della salvezza ed alla pratica della morale evangelica, e mediante dei riti sacri, da celebrare successivamente, siano introdotti nella vita religiosa, liturgica e caritativa del popolo di Dio.
In seguito, liberati grazie ai sacramenti dell’iniziazione cristiana dal potere delle tenebre, morti e sepolti e risorti insieme con il Cristo, ricevono lo Spirito di adozione a figli e celebrano il memoriale della morte e della resurrezione del Signore con tutto il popolo di Dio.
È auspicabile una riforma della liturgia del tempo quaresimale e pasquale, perché sia in grado di preparare l’anima dei catecumeni alla celebrazione del mistero pasquale, durante le cui feste essi per mezzo del battesimo rinascono in Cristo.
Questa iniziazione cristiana nel corso del catecumenato non deve essere soltanto opera dei catechisti o dei sacerdoti, ma di tutta la comunità dei fedeli, soprattutto dei padrini, in modo che i catecumeni avvertano immediatamente di appartenere al popolo di Dio. Essendo la vita della Chiesa apostolica, è necessario che essi imparino a cooperare attivamente all’evangelizzazione ed alla edificazione della Chiesa con la testimonianza della vita e con la professione della fede.
Infine, nel nuovo Codice dovrà essere più esattamente definito lo stato giuridico dei catecumeni. Essi infatti sono già uniti alla Chiesa, appartengono già alla famiglia del Cristo, e non è raro che conducano già una vita ispirata alla fede, alla speranza ed alla carità.

Spunti di riflessione

L’origine di questa parola è antica quanto la Chiesa. “Catecumeno” (e “catechista”) deriva dal verbo greco “catecheo” che vuol dire letteralmente “dare eco dall’alto”. Catechesi è dare eco ad una rivelazione che proviene da Dio, che riecheggia nella voce del catechista.

(scrivi una frase che hai sottolineato nel brano precedente)

Domande

E io LMC sarei disposto a prepararmi per seguire i catecumeni?
Perché non riusciamo a evangelizzare gli immigrati?

Riflessioni di p. Ottavio all’incontro

– Comboni fa spazio a tutti: il laico missionario comboniano accoglie tutti senza esclusione.
– Solo chi cammina vive.
– Ciò che distrugge la vita non sono i problemi, ma la mancanza di orizzonti.
– “Mistero” è sinonimo di “ricchezza”.
– La conversione è:
a) radicale (cambio di direzione)
b) progressiva (si cammina)
– Più ci sono difficoltà, più lì è il mio posto. Se non ci sono difficoltà significa che le cose vanno male.
– Il nuovo si costruisce mettendoci la faccia.
– La novità può essere frutto di vigore fisico; la continuità è invece dono di fede.

Una lettera di Comboni (anno 1880)

Riportiamo un brano di una relazione per il card. Luigi di Canossa in cui Comboni descrive con semplicità un fatto tragicomico.

La Suora ed il moro tentarono ogni mezzo con vigorose frustate e corbacciate1, perché il cammello si levasse e continuasse il suo cammino; ma ogni sforzo tornò inutile. Che fare in simile frangente?… Rimaner là tutta la notte, era esporsi ad esser divorati dalle fiere od assaliti dai ladri; lasciar là solo il moro, e la Suora andar sola ad El-Obeid, era esporre il moro ad essere rubato colle due otri di acqua, ed esporre se stessa a grave pericolo; ed essa avea grande paura.
Per un quarto d’ora rimase la suora perplessa e tremante; ma poi riflettendo agli estremi bisogni dei nostri di Malbes e di El-Obeid, confidando in quel Dio dell’amore che consola gli afflitti, ed in quella Vergine Immacolata che è il rifugio dei poveri, decise di lasciare il moro alla custodia dell’acqua, ed essa si mise sola in cammino per cercare soccorso. Era la notte tenebrosa, e rischiarata soltanto dal debole raggio di luna di tre o quattro giorni. Dopo qualche tempo ode il furibondo abbaiar dei cani, che le additano l’esistenza di un villaggio. Si ferma intimorita, perché l’avvicinarsi al villaggio è mettersi al pericolo di essere divorata dai cani, che sono pericolosi in quelle parti, benché provvidenziali. Ma d’altro lato scorge la necessità di chiamare soccorso. Laonde con quanta voce che avea, si mise a gridare verso quel villaggio circondato dai cani: Ja Nas taälu! Ja Nas taälu! O Genti venite! o Genti venite. Dopo pochi minuti ella vede comparire due robusti e pelosi Baggara (arabi custodi delle mandre) i quali accorsi a quelle grida strazianti esclamarono: “come mai signora, vi trovate qui di notte sola, con pericolo di essere divorata dalle belve, od essere rubata o assassinata?…” e con somma premura, alle preghiere della Suora, l’accompagnarono al luogo, ove avea lasciato l’acqua, e vi trovarono il cammello accosciato, ed il moro che lo custodiva; e dopo replicate e vigorose sferzate spingendolo colle nerborute lor braccia, riuscirono a rialzare il cammello. Né contenti di ciò, quei buoni africani accompagnarono e suora e moro e cammello fino ad El-Obeid, ove giunsero a mezzanotte più morti che vivi.
Non Le dirò nulla, della pena dai missionari sofferta per non aver potuto aver vino, per celebrare ogni giorno la Santa Messa, ineffabile conforto delle anime tribolate. Del resto, né i missionari, né le Suore ebbero vino per bere; ma bevettero quasi sempre acqua sudicia, salmastra, e ributtante.
In mezzo a tanta miseria, o Eminentissimo Principe, debbo dichiarare solennemente che, tanto i missionari che le Suore non vennero mai meno nel coraggio e nello zelo pell’arduo loro ministero: fermi ed incrollabili nella loro scabrosa e santa vocazione, e missionari e Suore stettero fermi al loro posto, e lieti e contenti in mezzo a tante privazioni e sacrifizi lavorarono indefessamente per guadagnar anime a Cristo; e ciò che più fa risaltare la grazia del loro santo e penosissimo apostolato, i nostri missionari e le nostre Suore mai titubarono, né si scossero, né si scoraggiarono davanti all’infuriar della procella, né in mezzo alle più fiere malattie, né in faccia alla morte di tanti loro confratelli e consorelle: ma sostennero impavidi a piè fermo l’urto della spaventosa tempesta, confidando sempre in quel Dio, che atterra e suscita, che affanna e che consola, ed in quel divin Salvatore, che dopo la sua penosa Passione e Morte gloriosamente risorse. E questa loro
abnegazione risalta ancor più al riflesso, che essi medesimi erano afflitti sovente da febbri, e ciò in un clima infocato, ove erano tormentati altresì dai morsi delle zanzare e di altri insetti, che li martoriavano notte e giorno.

1. Il Corbac è uno staffile di pelle d’ippopotamo, con cui si battono gli schiavi e si aizzano gli animali.

Aforismi

Puoi aver difetti, essere ansioso e vivere qualche volta irritato, ma non dimenticare che la tua vita è la più grande azienda al mondo. Solo tu puoi impedirle che vada in declino.
In molti ti apprezzano, ti ammirano e ti amano.
Mi piacerebbe che ricordassi che essere felice, non è avere un cielo senza tempeste, una strada senza incidenti stradali, lavoro senza fatica, relazioni senza delusioni.
Essere felici è trovare forza nel perdono, speranza nelle battaglie, sicurezza sul palcoscenico della paura, amore nei disaccordi.
Essere felici non è solo apprezzare il sorriso, ma anche riflettere sulla tristezza.
Non è solo celebrare i successi, ma apprendere lezioni dai fallimenti.
Non è solo sentirsi allegri con gli applausi, ma essere allegri nell’anonimato.
Essere felici è riconoscere che vale la pena vivere la vita, nonostante tutte le sfide, incomprensioni e periodi di crisi.
Essere felici non è una fatalità del destino, ma una conquista per coloro che sono in grado di viaggiare dentro il proprio essere.
Essere felici è smettere di sentirsi vittima dei problemi e diventare attore della propria storia.
È attraversare deserti fuori di sé, ma essere in grado di trovare un’oasi nei recessi della nostra anima.
È ringraziare Dio ogni mattina per il miracolo della vita.
Essere felici non è avere paura dei propri sentimenti.
È saper parlare di sé.
È aver coraggio per ascoltare un “No”.
È sentirsi sicuri nel ricevere una critica, anche se ingiusta.
È baciare i figli, coccolare i genitori, vivere momenti poetici con gli amici, anche se ci feriscono.
Essere felici è lasciar vivere la creatura che vive in ognuno di noi, libera, gioiosa e semplice.
È aver la maturità per poter dire: “Mi sono sbagliato”.
È avere il coraggio di dire: “Perdonami”.
È avere la sensibilità per esprimere: “Ho bisogno di te”.
È avere la capacità di dire: “Ti amo”.
Che la tua vita diventi un giardino di opportunità per essere felice…
Che nelle tue primavere sii amante della gioia.
Che nei tuoi inverni sii amico della saggezza.
E che quando sbagli strada, inizi tutto daccapo.
Poiché così sarai più appassionato per la vita.
E scoprirai che essere felice non è avere una vita perfetta.
Ma usare le lacrime per irrigare la tolleranza.
Utilizzare le perdite per affinare la pazienza.
Utilizzare gli errori per scolpire la serenità.
Utilizzare gli ostacoli per aprire le finestre dell’intelligenza.
Non mollare mai…
Non rinunciare mai alle persone che ami.
Non rinunciare mai alla felicità, poiché la vita è uno spettacolo incredibile!

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