Incontro 13 novembre 2011 – Catechesi

Lecce | 23 Nov 2011

Famiglia di Gesù e famiglia cristiana

Lc 2: tra mistero, speranze, sorprese.

Mc 3,31-35: la vera famiglia.

Ottica di partenza: Dio entra nelle situazioni così come sono per renderle storie sacre e da realtà confuse o negative poterne fare un cammino di salvezza per e per tutti.

La famiglia di Gesù è singolare e unica, come ogni altra famiglia. Camminando nel quotidiano sorge da una esperienza umile e pia. Non si può capire questa famiglia senza uno sguardo alle sue radici. Parlare di “mistero” è d’obbligo: ma qual è la famiglia che non è avvolta dal mistero? L’origine di tutto è l’amore: quello di Dio che avvolge tutte le creature; quello di noi umani che ci accorgiamo di questo amore e ci lasciamo prendere completamente rispondendo al suo amore che passa attraverso il nostro.

La famiglia di Nazareth è una famiglia reale, non extraterrestre, né privilegiata. È una delle milioni di famiglie di questo mondo che fanno crescere la vita in mezzo alle numerose traversie. Comunque ogni famiglia è sempre dono per il mondo e per la comunità.

Decodifica i componenti la famiglia di Nazareth

Non t’inquieta che Donna Maria viva con il suo sposo ma che non è il padre di suo figlio?

Il silenzio di Giuseppe? Il suo silenzio non è frutto di complessi ma dell’essere “giusto”. Questo lo induce ad un profondo rispetto degli eventi e alla loro interpretazione a partire dall’ottica di Dio.

Che dire di Gesù? Si appella al Padre che non è Giuseppe ma Abbà, un padre vero e diverso; chiama sua madre “donna” ed esclama: chi è mia madre? Eppure non è un figlio smarrito, né a Nazareth né a Gerusalemme.

Ogni famiglia è avvolta da un grande mistero da rispettare!

Abbà, padre e madre

“Abbà! Quando pregate dite così”, aveva detto Gesù.

Dio è Abbà, un Dio che supera il generico riferimento astratto: è Padre e Madre. Accoglierlo come Padre e Madre e vivere da figli, significa anzitutto accettarlo come sorgente di tutto ciò che esiste e non come uno che produce in serie. Abituati ai numeri, alle macchine, alla produzione, siamo portati a quantificare. Ma questo squalifica tutto. Infatti ciò che conta è capire che ogni figlio è frutto dell’amore particolare di un padre e di una madre; nessuno quindi è talmente povero da non poter sperimentare questa ricchezza destinata non a produrre o riprodursi ma ad essere “fonte”. La vita è infinita. “Dietro tutti gli occhi incontro il tuo sguardo segreto, in ogni voce io sento la tua magica voce: per le vie della natura la tua dolcezza visita il mio cuore, che ora in nessun luogo resta immune dal tuo agguato… c’è la tua gioia in ogni foglia e in ogni pietra. Gli attimi ti portano sulle loro ali di fuoco. Tu sei la calda speranza di tutto il futuro” (Sri Aurobindo Ghose).

Accogliere Dio come Padre e Madre e vivere da figli, vuol dire firmare un patto di simpatia e solidarietà con tutto il Creato malgrado i fallimenti e le violenze diluviane che ci sommergono. Ogni essere creato corrisponde a una parola creatrice che ha la stessa fonte. È il principio della “relazionalità”. Tutto è un unico insieme e tutto diverso. “In principio era la relazione”, qualcuno parafrasa l’inizio del Vangelo di Giovanni. “E Dio vide che quanto aveva creato era cosa molto buona” (Gen 1,30). Così prega Tagore: “Io vivo in questo mondo e temo di renderlo, anche di poco, più piccolo. Sollevami nel tuo mondo, Signore, e fa’ che io abbia la libertà di perdervi con gioia tutto me stesso”.

Accogliere Dio come Padre e Madre ci immette nella capacità di ristabilire alleanze, sull’esempio di Gesù che si è proposto di fare dei due, l’ebreo e il pagano, un popolo solo (Ef 2,13-17). Il processo tra Creato, Uomo, Dio è unitario. Una realtà che cresce fa progredire tutte le altre; ma se qualcosa o qualcuno viene meno tutto è fatto diminuire. Paternità e Maternità sono un’esperienza vicina alla nostra vita ma anche il loro rifiuto. Abbiamo bisogno di perdonare ed essere perdonati perché pur sperimentando la nascita da una situazione di amore, ci assale il rigetto che rende difficile la reintegrazione nella situazione originaria. Ma non è facile un amore pieno che perdona. Ogni volta che vedo un uomo sbagliare, mi dico che io pure ho sbagliato. Mi sento affine a ciascuno nel mondo e sento di non poter essere felice senza che lo sia il più umile tra noi. Continuerò a confessare gli errori ogni volta che la gente li commetterà(Gandhi).

Accogliere Dio come Padre e Madre e vivere da figli, vuol dire riconoscere che i beni, tutti i beni, sono destinati a tutti (GS 69). Giovanni Paolo II, riprendendo una terminologia che aveva già usato con i vescovi dell’America Latina, ribadisce che “sulla proprietà privata grava una ipoteca sociale”, cioè vi si riconosce una irrinunciabile funzione sociale (SRS 42). L’origine comune e gratuita dà diritto, a quanti vivono oggi, alla solidarietà. I campi della solidarietà sono sterminati: giovani, bambini, anziani, immigrati, emarginati, gli afflitti, i senza lavoro… Solidarietà vera è non solo dare, ma anche saper ricevere. In particolare le migrazioni hanno prodotto un fenomeno nuovo: creano occasioni nuove di contatti e scambi culturali, sollecitano la famiglia all’accoglienza, al dialogo, alla fraternità. Siamo in un nuovo areopago che può essere assunto a simbolo dei nuovi ambienti in cui si è chiamati a far sperimentare l’amore paterno-materno con la proclamazione vivente del Vangelo (At 17,16-33). Molti altri areopaghi riguardano certamente l’impegno per la pace, per lo sviluppo e la liberazione dei popoli, i diritti dell’uomo e dei popoli, la salvaguardia del Creato… la missionarietà non può attraversare questi arcipelaghi senza che diventi “relazione” per un cammino verso la Umana Unità.

Traccia per la riflessione di gruppo:

Di che cosa la famiglia cristiana può oggi essere sorgente o fonte?

Hai capacità di ristabilire alleanze allinterno della famiglia e attorno?

Come bilanci la giustizia in famiglia se i beni sono destinati a tutti?

Conosci famiglie simili a quella di Nazareth? Come è andata a finire?

Finestra

“Sono un uomo, l’ingiustizia verso gli altri uomini rivolta il mio cuore. Sono un uomo, l’oppressione indigna la mia natura. Sono un uomo, le crudeltà contro un così gran numero di miei simili non mi ispirano che orrore. Sono un uomo, e ciò che vorrei che qualcuno facesse per ridarmi libertà, onore, sacri legami della famiglia, voglio farlo per ridare ai figli di questi popoli, onore, libertà, dignità.”

Card. Lavigérie, Fondatore dei Padri Bianchi o Missionari d’Africa – Discorso sulla schiavitù – Roma, Chiesa del Gesù

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